La mostra si sviluppa tra il museo di Capodimonte, la Certosa di San Martino e Palazzo Reale a Napoli
Un motivo in più per andare al Museo di Capodimonte, scrigno di opere meravigliose, è senza dubbio la mostra Il patriarca bronzeo dei Caravaggeschi: Battistello Caracciolo (1578-1635) ospitata nella sala Causa fino al 2 ottobre.
Un percorso molto suggestivo, che si compone di circa ottanta opere, caratterizzato da un rigore espositivo incredibile e da un allestimento che sfrutta il discorso sulla luce tipica del più caravaggesco dei pittori, Battistello Caracciolo, appunto.
L’esposizione, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, nasce dall’idea di Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte,
con la collaborazione istituzionale di Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli e di Marta Ragozzino, direttrice regionale Musei Campania;
l’esposizione si sviluppa anche a Palazzo Reale di Napoli, sala del Gran Capitano Certosa e al Museo di San Martino, Chiesa e Quarto del Priore.
La mostra di Caracciolo fa parte del programma di esposizioni che porta avanti il Museo e Real Bosco di Capodimonte su artisti napoletani e non napoletani che hanno avuto una stretta relazione con Napoli, anche se fugace.
Ogni mostra è influenzata da quelle che l’hanno preceduta per ciò che ci ha insegnato il suo soggetto, ma anche sull’arte di esporre, di raccontare e sulla ricettività del pubblico.
In questo caso la mostra Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli, a cura di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, inaugurata lo scorso 31 marzo, ha influenzato anche la mostra su Battistello Caracciolo, suggerendo l’introduzione di elementi di confronto con la scultura o con opere pittoriche di diversa sensibilità, apparentemente opposte alla figura di Caracciolo, scuotendo generi e materiali, senza cadere nel concetto di mostra di Civiltà, ha permesso di comprendere meglio la peculiarità di questo pittore, di cambiare prospettive e di dare nuove letture al ricco e poliglotta dialogo artistico nel potente Viceregno spagnolo, sempre scosso dall’arrivo di nuovi talenti provenienti da Firenze, dalla Spagna o da Roma, come Caravaggio, artisti quali Ribera, Lanfranco, Pietro Bernini o Michelangelo Naccherino e le loro opere presenti in mostra, rendono l’allestimento una festa visiva più rilevante e più ricca, dove il visitatore è un complice invitato a interagire.
Il percorso espositivo è un’opportunità di arricchimento; fin dalla primo corridoio dove sulle pareti si racconta la vita del pittore con le sue tappe fondamentali, il visitatore è avvolto dai colori e dai soggetti tipici di Caracciolo.
Le luci sono posizionate in maniera sapiente così da fare spiccare il rosso fuoco del pittore, già ammirato in altre opere e qui presente in diverse tele, così come tutte le altre tonalità specifico del Maestro.
Un susseguirsi di confronti, di influenze che caratterizzano l’opera del Caracciolo; i nomi attribuiti ad ogni sala sono il segno distintivo della mostra; in questi titoli, infatti, risiede la cura maniacale dei curatori che accompagnano il visitatore, quasi per mano.
Così sala dopo sala alla scoperta dell’artista: L’ombra di Caravaggio, Battistello e Curia a confronto, Distensione e ingentilimento del Caravaggismo, Una questione di stile. Ribera e Battistello alla fine del primo ventennio, Figure seminude in una stanza. Genesi e variazione di un tema caravaggesco, Restauri rivelatori, L’attivazione dinamica dei nodi narrativi, Lo spettatore come complice in questa sala si trova “Cristo e Simone da Cirene o “Qui vult venire post me” (dal Vangelo di Luca) proveniente dalla collezione di Marcantonio Doria a Genova dove è attestato nel 1614: un dipinto meraviglioso.
E si continua con Battistello e Lanfranco, con il corridoio dedicato ai disegni e si conclude con Oltre Caracciolo dove si trova un vero capolavoro degli anni napoletani di Mattia Preti (1653-’59), ma che costituisce un unicum: Scena di carità con tre fanciulli mendicanti.
Colpisce anche l’elevato numero di prestiti dall’Italia e dall’estero di opere che compongono la mostra, ma che si spiegano proprio in virtù della bellezza dell’esposizione.
In mostra, dopo un complesso restauro, anche la Liberazione di San Pietro dal carcere che è considerato il capolavoro di Battistello, che ci mostra in questa tela di aver profondamente assimilato la lezione di Caravaggio nel chiaroscuro violento e nella posa dell’uomo in primo piano di spalle, in cui riprende il paralitico ritratto nella tela dell’altare maggiore.
Battistello, inoltre, dimostra anche di essersi aggiornato durante i suoi viaggi a Roma guardando i grandi soffitti romani, Annibale Carracci e Orazio Gentileschi.