«Io non so centomila lire quante siano né mi importa di saperlo. Io non conosco il denaro, a me basta una pipa di tabacco e della cera. Il resto è zero». Vincenzo Gemito
Il Piccolo Bellini di Napoli ospita fino al 1° maggio lo spettacolo Gemito L’arte d’ ‘o pazzo scritto e diretto e interpretato da Antimo Casertano con: Daniela Ioia, Luigi Credendino, Ciro Kurush Giordano Zangaro.
Ecco come Antimo Casertano spiega la genesi dello spettacolo: «Tra i tanti artisti dimenticati dal tempo e dalla storia vi è forse uno più dimenticato di tutti: Vincenzo Gemito (Napoli 1952-1929). Abbandonato nella ruota degli esposti della Chiesa dell’Annunziata, ha subito lo stesso trattamento nel corso degli anni e ancora oggi appare ai più come un artista di secondo piano che non ha ancora trovato una sua collocazione tra i pilastri degli artisti dell’800 napoletano. La sua arte, ma soprattutto il suo modo di intendere e di vivere l’arte è ciò che mi ha spinto alla ricerca e all’approfondimento della sua intera opera. Una vita tormentata e ossessionata dalla continua ricerca della perfezione, ossessione che lo ha spinto addirittura alla reclusione in manicomio tra il 1886 e il 1888 e, una volta uscito, alla clausura domestica volontaria durata oltre 20 anni. Mi sono chiesto: cosa porta un artista alla rovina o alla sua gloria, cosa spinge un artista al blocco emotivo, psichico e professionale? Bisogna sfatare il mito del genio-folle. Molto spesso infatti chi attraversa un momento insano non riesce a creare nulla di geniale. Lo spettacolo parte proprio da questa analisi e non è soltanto un’occasione per ridare luce alla complessa figura di Gemito. L’intento è stato quello di esplorare questo delicatissimo momento che riguarda noi tutti come esseri umani”.
Ed infatti tutta la pièce teatrale vuole farsi indagine acuta della forza vitale e sublime di un pazzo, di un folle che plasma i suoi demoni e le sue ossessioni rinchiuse in un blocco di candido marmo, unico oggetto presente sulla scena offuscata da una nebbia sottile e penetrante. Antimo Casertano veste una lunga tunica bianca che ricorda una camicia di forza e si agita, corre e si dimena sulla scena fino ad arrivare nelle braccia di sua moglie Nannina, una insuperabile Daniela Ioia, l’unica che riesce a calmare con le sue nenie le voci, i tormenti, i fantasmi del suo genio. Salvatore Di Giacomo così lo descrive: «Gli adolescenti popolani che egli conduceva nel suo antro offrivano all’impasto mirabile della sua cera e della sua creta magnifici brani di nudità riarsa dal nostro sole ardente e intinta come nel colore del bronzo».
Eppure nella mente offuscata dal dolore e dalla ricerca maniacale della perfezione, Nannina è una nemica quasi quanto Salvatore (Luigi Credendino) un suo amico da lui accusato di gelosia. E accanto a loro il fantasma di Carlo V (Ciro Kurush Giordano Zangaro) simile alla statua che ammiriamo in una delle nicchie della facciata del Palazzo Reale di Napoli, vestito con la sua armatura nella posa ieratica di puntare il dito della mano destra ‘nterra. Proprio lui è causa di dannazione, di squilibrio e oggetto di derisione perché Gemito sa che la sua arte non potrà essere cristallizzata in una statua di marmo, materia con la quale egli non ha dimestichezza. Infatti la statua sarà realizzata successivamente da Enrico Pennino prendendo spunto dal suo bozzetto e da una mano realizzata in creta custodita nel Museo di Capodimonte.
Antimo Casertano ha il potere di restituirci un Gemito vivo e vitale, quale lo ritroviamo nelle parole di Gabriele D’Annunzio: «Era povero, nato dal popolo e all’implacabile fame dei suoi occhi veggenti aperti sulle forme, si aggiungeva talora la fame bruta che torce le viscere. Ma egli, come un Elleno, poteva nutrirsi con tre olive e con un sorso d’acqua».
Vincenzo Gemito è l’artista che non sa monetizzare la sua arte e forse neppure comprenderla. Sempre in bilico tra vita reale e immaginata, tra ossessione e tormento, tra verità e ricerca della perfezione si chiede “dove siano finite le stelle. Neanche una per orientarmi. Mi sono perso e non so qual è la mia strada. Questi giorni sono tutti uguali e non succede mai niente. Ho fatto di me la mia opera peggiore”.
La risposta a tutti gli interrogativi sollevati dallo spettacolo sarà affidata al pubblico come avverte Antimo Casertano.