Facciamo un gioco: vi racconterò del concerto di Roberto Vecchioni tenutosi il 12 ottobre 2014, al Castello Baronale di Acerra cercando di non usare mai un titolo di cui si abusa con questo cantautore. Per questo motivo, mi riprometto di evitare la parola professore.
Prima di lanciare i dadi, però, condivido una scelta lavorativa pre-serata: i giornalisti possono accreditarsi (e, di conseguenza, riservarsi un posto) anche ai concerti gratuiti come questo. Avevo pensato di farlo, poi ho smesso di pensare per godermi non solo Vecchioni, ma anche gli spettatori non paganti.
E così, quando il poeta milanese ha salutato il pubblico cantando “Dentro gli occhi” ho potuto non solo inebriarmi delle sue parole, ma anche ammirare un ragazzo che un attimo dopo aver preso il suo smartphone per scattare una banalissima foto, ha deciso di rimetterlo in tasca per non guardare l’inizio del concerto attraverso uno schermo.
Mi era già capitato di assistere a un concerto di Vecchioni, quello dell’altra sera però è stato un ritorno alle origini. Sul palco c’era semplicemente Roberto: Roberto con le sue rivoluzioni, con i suoi sogni, con i suoi mille amori. Roberto con la sua passione per l’arte, la musica, la filosofia e le donne.
Di canzoni Vecchioni ne ha scritte più di 300. Canzoni autobiografiche che i critici, essendo cazzoni mai visti, spesso non sono riusciti a capire in fondo. La semplice verità è che in quasi tutte ritroviamo un frammento della sua storia e della nostra.
E la magia si compie quando una signora di 60 anni, in piedi davanti a me, ritrova un pezzo della sua vita nel brano “Due Madri”. Il cantautore milanese fa una premessa a questa canzone, spiega a chi non lo sa, di avere una figlia omosessuale che sua volta ha due splendide bambine. Reticenza nella 60enne prima della canzone, commozione totale dopo l’ascolto del brano.
E Vecchioni continua con i suoi racconti, che fanno poi parte tutte della sua storia personale. L’artista lascia entrare gli ascoltatori nella sua vita, tra i suoi dolori, ma con lentezza ed estrema dignità. Roberto si commuove parlando della sua famiglia. Nessuna esternazione, ma la potenza delle emozioni supera ugualmente il resto. Il poeta dice di non appartenere più a tante cose, eppure ad ascoltarlo, brano dopo brano è il pubblico che inizia ad appartenergli.
Il pubblico non pagante sembra aumentare a fine concerto invece di diminuire. E così, prima di tornare alle origini con i brani che han fatto la sua storia, Vecchioni torna alle origini delle parole stesse.
Spiega al pubblico la bellezza dei significati nascosti, lo illumina con la parola “desiderio”. Torna alla musica con il suo brano meno snob, il suo figlio più fortunato che non a caso ha vinto Sanremo qualche anno fa. Continua poi con canzoni più difficili e spiegazioni a metà.
Riprendendo una delle frasi di Vecchioni: “E cosa devo dire ancora? Ancora”.
Il concerto finisce, allo stesso tempo continua facendo risuonare orchestre di pensieri anche dentro la testa dello spettatore più distratto.
Vecchioni “insegna”: segna dentro. È sul serio un “professore”.