Chitarre funky, ritmi afro e basso che pompa. Non è una band che rifà gli anni 70 degli Chic ma il nuovo progetto di Dj Cassidy, il produttore e artista americano che lancia in queste settimane un album di brani completamente suonati ma dance come i classici che balliamo tutti in disco a 40 anni di distanza. Nel disco ci sono star contemporanee come Ne-Yo, Cee-Lo e Robin Thicke ma Cassidy ha arruolato anche le glorie del periodo d’oro della dance americana, quello di fine anni 70. Un disco ambizioso e decisamente “contro”, rispetto all’imperante EDM che vuole tutta la dance Ibiza style. “Voglio portare una ventata nuova nel panorama che mi ha creato”, ci ha detto presentando il disco a Milano, dove era stato ingaggiato da Adidas per il lancio di un’iconica linea di sneakers.
Sei sempre molto legato al mondo fashion, come mai?
Ricordo la prima Fashion night out a New York, che è il posto dove sono cresciuto e quando torno a Milano mi ricorda quel vibe. Ero entusiasta anche perché ho iniziato proprio da alcuni party fashion a fare questo mestiere. Il primo fashion show fuori New York l’ho fatto a Montreal per Tommy Hilfiger.
Spiegaci i tuoi inizi…
«Sono stato da ragazzino un fan dell’hip hop. Ma riconosco che ero chiuso, perché a quell’età se ami il rap odi tutto il resto. Poi mi sono reso conto che tutti gli artisti che amavo erano un mix di generi. Come gli Afrika Bambaataa o i Run Dmc, non erano solo hip hop erano anche soul e rock. E così mi sono aperto alla musica di tutti, mi piaceva sintetizzare la mia musica per tutte le persone di tutto il mondo senza barriere di generi. Ho iniziato a mettere la musica nei locali per 100 dollari, poi sono diventati 300. E l’unica cosa che mi accompagnava era questo apprezzamento per la dance universale degli anni dal 1978 in poi, direi fino al 1982. Sono quelli gli anni delle canzoni più durevoli e più memorabili. C’era un’anima speciale che ho sempre portato nelle serate da dj e ora lo ripropongo nel mio disco.»
In un momento in cui tutti fanno musica sintetizzata tu la fai con gli strumenti, perché?
«Come Mark Ronson ha fatto con Amy Winehouse con gli anni 60 della Motown, io voglio riportare l’epoca degli Chic, Earth Wind and Fire, kool and The Gang, Quincy Jones. Questi sono stati degli anni mitici, penso ai dischi di Michael Jackson e Diana Ross. Ho reclutato 22 musicisti storici che hanno davvero partecipato a quei dischi e li ho fatti suonare i miei pezzi. Un’emozione incredibile perché loro per me sono i simboli di un’epoca mitica. Mi piace il mix di classico e senza tempo, è il mio senso per la musica.»
Hai messo i dischi per i ricchi e i potenti. Il tuo ricordo più bello?
«Quando sono stato invitato da Barack Obama alla Casa Bianca. Sono stato il primo dj a entrare lì. La cosa è andata bene e quindi mi hanno riinvitato per il 50esimo della first lady, Michelle. Mi sono sentito unico lo devo ammettere, ero con il leader del mio tempo. Non c’è nessun altro uomo che ha dato tanta ispirazione ai giovani come lui.»
Ma com’è rapportarsi con loro?
«Non mi hanno imposto nessuna lista di canzoni, se è questo quello che vuoi sapere. Evidentemente sapevano la musica che mettevano e non hanno fatto richieste. Non mi sono sentito imbarazzato perché si ballava tutti assieme, i leader del mondo all’inaugurazione della sua reggenza e Obama con i figli e gli amici. Mi lasciano essere me stesso, devo dire. E lo stesso è capitato quando mi ha chiamato Naomi Campbell e Jay Z e Beyonce per il loro matrimonio. Siamo molto liberi tutti, loro potrebbero dirmi cosa fare ma non lo fanno.»
Hai una posizione nei confronti delle celebrità che si improvvisano dj?
«Mi piace perché hanno alzato la curiosità e il profilo verso questa professione. Se vogliono, che lo facciano. Voglio che la cosa si diffonde, non è un lavoro esclusivo, almeno non la penso io così- Non devi essere il migliore per farlo, ma almeno devi dare qualcosa di speciale. Poi se qualcuno ha qualcosa contro, può sempre evitare di andarli a vedere. È come quando vai a vedere i film. Ma magari quelli con attori sconosciuti nascondono delle sorprese.»
Paradise Royale secondo te avvierà un nuovo trend?
«L’ho inciso pensando a un’isola fantastica, dove tutti si divertono a ballare senza distinzioni. L’ho fatto prima che uscissero i Daft Punk l’anno scorso e tutti mi dicevano: pubblica il disco ora! Ma io volevo che diventassero dei grandi hit prima quelli degli altri e poi uscire io. Ma li ringrazio perché hanno fatto capire che si poteva ballare con veri musicisti e che la musica con il soul poteva tornare al primo posto. E Nile Rodgers l’ho voluto per questo. Poi è uscito anche Treasure di Bruno Mars e mi sono consolato. È nato un trend ma non posso essere da solo a farlo, ho bisogno di altri, come David Guetta e gli altri hanno portato avanti questa dj culture che è esplosa negli ultimi 5 anni.»
Ti sei ribellato al gusto imperante?
«Non è una ribellione alla dance dei computer ma al mainstream. Tutti si aspettavano che facessi un disco con i computer, ho una fama che me lo permette e invece io penso che ci siano tanti tipi di dance e voglio sfidare la radio con musicisti che suonano dance dal vivo. Sono molto old school anche quando penso alla mia musica. Voglio che la mia generazione abbia canzoni suonate da potersi ricordare.»