Lino Musella è uno degli attori italiani di maggiore talento; è protagonista di molti spettacoli ed il 18 marzo debutta al teatro Sannazaro di Napoli con The Night Writer. Giornale notturno. Il testo, le scene e la regia sono firmata da Jan Fabre. Le musiche sono di Stef Kamil Carlens. The Night Writer raccoglie, come in un flusso, i pensieri di Fabre sull’arte e sul teatro, sul senso della vita, sulla famiglia, sul sesso, sull’amore: dai vent’anni di un giovane di provincia, sino alla maturità dell’artista celebrato in tutto il mondo.
Un lavoro diverso rispetto a quelli a cui ci ha abituato Fabre, che tipo di regia c’è in questo spettacolo?
«Questa regia è abbastanza diversa da quello che solitamente ci si aspetta dai suoi lavori che sono teatrali ma anche molto, molto coreografici; in questo caso invece, almeno inizialmente, sembrava essere quasi un reading poi non lo è per niente, non lo è stato dopo tre giorni di prove perché quello che ho provato sulla mia pelle è che lui spinge l’interprete verso la performance, questa strada parola che a volte confonde un po’ i piani però è vero che esiste la possibilità per un interprete di andare un pochino oltre, un po’ oltre le proprie possibilità ,cioè non è una questione di sforzo, ma è una questione di uscire da una zona di conforto e quindi lui mi ha spinto e, credo, che lui spinga sempre gli interpreti verso questa zona più performativa.
La regia intesa in quanto lettura di un testo in questo caso è un carpiato, veramente un triplo salto mortale perché in questa messinscena lui mette in scena sé stesso attraverso però un altro interprete, nel mio caso attraverso un interprete di cui non conosce neanche la lingua. Quindi è un autoritratto di una zona della sua vita perché è compresa dai 20 ai 40, 45 quindi è veramente come alcuni autoritratti che ti prendono in quel momento, in quegli anni della tua esistenza. Quindi lui si è ritratto usando un interprete altro da sé ed immagino, quindi, dovesse essere anche disturbante lavorare su questa dimensione del vedersi fatto da un altro, che non ti conosce e che però è lì a riferire le tue parole in prima persona. Quindi c’ è veramente un lavoro su un doppio cioè è riuscito a raccontare, e forse questo lavoro riesce così a colpire perché è stato capace di uscire da se e quindi quello che tu vedi è un ritratto di un artista, in questo caso noi sappiamo che è Jan Fabre, ma è un artista x e le sue pulsioni».
Musella, come ha approcciato ai testi di Fabre?
«Conoscevo di Jan Fabre dei lavori teatrali che avevo visto, altri li ho visti in video, le sue opere, forse meno i testi quelli che li ho studiati dopo in riferimento alla possibilità di questa produzione. Credo che in questi diari soprattutto più che nei suoi testi teatrali ci sia una grande intimità da un lato e anche, almeno nei passaggi dei diari che sono stati espunti da tutti quelli che lui ha scritto, qualcosa, nei diari più che nei testi teatrali, che non riguarda soltanto Jan Fabre ma che riguarda un po’ tutti quelli che hanno un approccio, una passione con l’ arte, col teatro e quindi ho cercato di entrare nel suo mondo più che volendolo comprendere per intero ma ho cercato i punti di contatto tra lui e me come altri che tentano di fare questo lavoro al meglio che cercano di mettere quella febbrile passione di cui lui parla. Questo contatto è avvenuto per fortuna dal vivo quindi nel tempo di prova che abbiamo passato insieme anche solo osservarlo, osservare come lui osservava, questo mi ha fatto entrare in contatto con quello che è il suo mondo».
Cosa è cambiato nel suo mestiere con la pandemia?
«Io credo che sono cambiate diverse cose ma probabilmente l’amore è qualcosa che si capisce veramente e si vive, forse nei suoi aspetti più profondi, attraverso un’esperienza di negazione; quando qualcosa ci viene negato entriamo in un contatto più profondo con l’amore, con la passione, con quello che ci muove. Non penso di avere mai avuto un rapporto consueto con il mio lavoro, ma probabilmente dopo anni puoi entrare in una forma di consuetudine con il mestiere, con il fatto che quello, da qualche anno, è il tuo lavoro, hai sempre pensato che è così che vivi e quindi diventa normale. Ecco questa normalità è stata cancellata dalla pandemia e quindi si è ritrovata questa esigenza. La mia grande scoperta, che mi ha procurato molta gioia, e che questa esigenza è stata riscoperta da parte del pubblico cioè il cittadino, la comunità ha sentito e sente l’esigenza di tornare a guardare, ad ascoltare insieme qualcosa che avviene lì in quel momento. Quindi la pandemia mi ha restituito l’esigenza di andare in scena ed incontrare la comunità di cui faccio parte».
Che accoglienza si aspetta da Napoli?
«Considero Napoli una delle città più colte al mondo; credo che Napoli non abbia niente da invidiare ad altre città, non la trovo per niente provinciale. Trovo i napoletani molto colti e quindi in grado di sentire lo spettacolo e da un punto di vista intellettuale, perché molto pubblico napoletano è molto preparato, ma anche perché riescono a sentire con la pancia, con il cuore quindi riescono a sentire la genuinità di quello che gli viene offerto e proposto. Sono capaci di osservare proprio perchè siamo così forti di quello che è la nostra cultura musicale, teatrale, letteraria, quindi abbiamo un riferimento, che per noi è molto forte, che è quello della tradizione, ma siamo anche molto curiosi di altri linguaggi, esperienze teatrali. Il pubblico di Napoli è esigente ma aperto e generoso».
The night writer. Giornale notturno è una produzione Troubleyn/Jan Fabre, Aldo Grompone, FOG Triennale Milano Performing Arts, LuganoInscena, Teatro Metastasio, TPE – Teatro Piemonte Europa, MARCHE TEATRO, Teatro Stabile del Veneto, Produzione esecutiva Carnezzeria srls.