Salvatore Formisano porta in scena ‘O Trammamuro, da lui scritto e diretto, con in scena gli attori Stefano Ariota, Luigi Esposito, in arte Luigi Shika e Ilaria Buonaiuto.
Il regista e sceneggiatore da anni è intento a diffondere la cultura del cosiddetto “Teatro altro”, ovvero la ricerca e la sperimentazione di un teatro poco conosciuto al pubblico di massa.
Affascinato dalla dottrina teatrale del regista Gennaro Vitiello, il regista e sceneggiatore Salvatore Formisano approfondisce la ricerca di testi poco rappresentati, dirigendo: “La Notte di Natale e Marzia” di Giorgio Serafini Prosperi, “Le Serve” di J. Genet, “Ferdinando” di Annibale Ruccello, “L’Amante” e “Il Calapranzi” di Harold Pinter, e il corto teatrale “La Trappola”.
‘O Trammamuro, il cui testo teatrale rivisitato in lingua napoletana è liberamente ispirato al “Calapranzi” di Harold Pinter, andrà in scena il 12 e 13 febbraio al Teatro Sanacore di San Giorgio a Cremano, il 19 febbraio al Teatro Bolivar di Napoli e il 12 e 13 marzo al Teatro Magma di Torre Annunziata.
Dopo “La Notte di Natale e Marzia” di Giorgio Serafini Prosperi, “Le Serve” di J. Genet, “Ferdinando” di Annibale Ruccello, “L’Amante”, hai deciso di portare in scena ‘O Trammamuro, uno spettacolo tratto liberamente dal Calapranzi di H. Pinter. Come ti sei avvicinato a questo testo e quali sono le caratteristiche che differenziano il testo originale da quello riadattato da te?
«Si noterà che sono legato al filone del teatro dell’assurdo. Mi sono avvicinato a questo tipo di teatro dopo aver approfondito l’arte teatrale del regista e drammaturgo Gennaro Vitiello. Le sue letture e gli approfondimenti biografici dell’artista, mi hanno dato lo stimolo ad avvicinarmi al teatro “altro” come lo definiva il noto regista, perché ritengo che il pubblico debba conoscere, oltre al teatro di tradizione, anche altri stili della drammaturgia definita contemporanea. Da questa mia consapevolezza acquisita nel tempo, nascono i miei testi teatrali che hanno alla base una matrice sociale, come anche nel Trammamuro. Del Calapranzi di Pinter ho raccolto il dramma della storia, ma personaggi e situazioni sono diverse, seppur complicate come l’opera pinteriana».
Qualche anno fa hai portato in scena “Il Calapranzi” di Pinter. È nata in quell’occasione l’idea di scrivere ‘O Trammamuro?
«Parto dal fatto che sono un fan di Pinter, di sicuro quel testo mi ha indotto a riprendere un discorso costruendolo su basi diverse».
Qual è il tuo pensiero verso questi autori contemporanei? In che modo ti senti più vicino al loro pensiero piuttosto che a quello dei drammaturghi del passato?
«Adoro il teatro in tutte le sue sfaccettature, non mi limito a un determinato genere, ma come ho detto prima l’avvicinamento a questo genere di teatro ha avuto un Giuda; il matrimonio con il teatro contemporaneo è avvenuto grazie a Gennaro Vitiello che definirei un’attrazione fatale. Potrei dire che ‘O trammamuro è l’esame di un mio percorso di vita teatrale».
Come nasce la tua passione per il teatro?
«In realtà il mio percorso iniziale aveva preso una strada diversa. Ho iniziato con la musica, ho studiato chitarra classica e il mio sogno era quello di diventare compositore. L’approccio al teatro è avvenuto per puro caso, è stata una sfida con me stesso e che non so se è riuscita a pieno, questo lo dovrà giudicare il pubblico che viene in teatro ad assistere alle nostre rappresentazioni».
Quando e come nasce un tuo testo?
«Scrivere per il teatro è un’esigenza, uno stato d’animo. In realtà non adotto schemi, scrivo d’istinto, inquadro un fattore e metto su carta. Il finale viene man mano che prende forma la storia, ed è stato così pure per ‘O Trammamuro, che definisco attualissimo in questo periodo di pandemia. Infatti la vicenda si svolge in un sottoscala dove due personaggi bizzarri sono costretti a una reclusione forzata».
Oltre ad essere autore sei anche regista di questo spettacolo. Cosa può raccontarci sulle tue scelte, senza svelare troppo della trama?
«Ho pensato di ambientare lo spettacolo in un sottoscala di un quartiere popolare di Napoli. La scelta della lingua napoletana è voluta non soltanto per le innate sonorità, ma perché nel napoletano oltre all’allegria del dialogo, si riesce a percepire un filo di drammatica rassegnazione. ‘O trammamuro è un montacarichi che ho voluto rendere umano, creando un personaggio che abbia una connotazione vivace che invada un ambiente sotto certi aspetti ricco di tensioni, paure e rassegnazioni».
In scena Stefano Ariota, Luigi Esposito e Ilaria Buonaiuto. Come mai la scelta è caduta su di loro?
Gli attori sono di straordinaria bravura e professionalità. Le scelte degli attori sono scaturite dall’individuazione di caratteristiche di ognuno di loro. In Stefano Ariota direi che è stata una scelta quasi naturale per il personaggio che interpreta, ma anche perché ha creduto sin dal primo momento al progetto, e soprattutto per la sua esperienza e la grande capacità attoriale. In Luigi Esposito ho visto l’innata espressione di un ragazzo ansioso e timoroso, uno specchio riflesso del personaggio che interpreta, un attore seppur giovane ma di un’ottima preparazione artistica. Ilaria Buonaiuto è un’attrice versatile e vivace, anch’essa una giovane attrice ma già in grado di svolgere ruoli d’impegno. Il suo tratto caratteriale in scena è il giusto connubio al ruolo interpretativo. Voglio aggiungere che è stata una squadra straordinaria e desidero ringraziare tutti perché si sono approcciati a un testo difficile con impegno e professionalità in un particolare momento della nostra storia».
Hai lavorato a questo spettacolo in uno dei periodi storici molto complessi. Quanto è stato difficile e quanto allo stesso tempo gratificante riuscire a lavorare nonostante le difficoltà?
«Nel teatro le difficoltà non mancano mai. Il sogno di riprendere a calcare le tavole del palcoscenico ha dato a tutti noi la forza di iniziare questo progetto e lavorarci insieme con alacrità e senza mai voltarsi indietro, bensì guardare dritto davanti verso i palcoscenici lasciati da troppo tempo vuoti».