Giovanni Luca Valea ha all’attivo ben tre raccolte di poesie con case editrici indipendenti del territorio toscano, Canzoni di rabbia, poesie d’amore (2016), Una Storia che credevo di aver dimenticato (2019) e Una rosa al Padrone (2021). Si è avvicinato dapprima come autore al mondo della canzone. Iniziali (uscito su etichetta La Stanza Nascosta Records, 2021) è il suo primo lavoro in studio, che lo sta consacrando come cantautore dalla poetica originale. Mydreams lo ha incontrato per una chiacchierata, tra canzone d’autore e letteratura.
Musicare i versi di un poeta: perché farlo? Oppure “estrarre” dalla musica quelli di un cantautore. Quali sono le ragioni, la legittimità e i risultati di queste “operazioni”, a suo avviso?
«Penso a Léo Ferré, che ha messo in musica poesie meravigliose con risultati straordinari. Serve una particolare sensibilità, nell’ottica di voler proporre attraverso una forma più popolare».
Quando scrive versi per le sue canzoni segue “criteri “diversi rispetto a quando compone poesie? Ci sono delle diversità nella gestazione dei versi che restano su carta e in quelli destinati a divenire canzoni?
«Sì, senz’altro. Per le canzoni parto da un’intuizione, da un’atmosfera particolare. Ascolto una storia, una leggenda: perché non concederle un giro di accordi? La poesia parte, quasi sempre, dalla necessità di raccontare di me».
Il verso di una sua canzone che più la rappresenta?
«Dicevi che sembravo un poeta /ma che avresti chiuso un occhio».
E di una sua poesia?
«Soltanto ora, mira Achille. Come china il capo, grandioso come è l’uomo nella sconfitta. È morto Patroclo che amava e per brama di re – che assurdità».
Un poeta ad oggi ignorato o sottovalutato che farebbe studiare nelle scuole?
«Louis Aragon, senz’altro. Insieme al mare dei surrealisti francesi».
Un cantautore con il quale vorrebbe collaborare?
«Paolo Capodacqua, senz’altro».