Da qualche giorno è disponibile l’ultimo libro di Lilli Gruber dal titolo La guerra dentro-Martha Gellohrn e il dovere della verità, Ed. Rizzoli, pag. 288.
Noi di Mydreams abbiamo seguito via streaming un incontro con l’autrice organizzato dalle librerie UBIK.
In questo libro viene raccontata la vita della più grande corrispondente di guerra del ‘900, alla quale il grande romanziere Ernest Hemingway dedicò la prima edizione di Per chi suona la campana, la donna che lo seguirà a Cuba e diventerà la sua terza moglie e che per tutta la sua vita ha avuto una sola missione: andare a vedere. In un mondo dominato da uomini la Gellohrn si è sempre battuta per la propria libertà ed indipendenza ed ancora oggi rappresenta un modello da seguire per le nuove generazioni. Nei suoi reportage ha sempre sentito la bellezza e la responsabilità del giornalismo che oggi più che mai ha bisogno di verità.
Come mai, signora Gruber, ha sentito il bisogno di dedicare un suo scritto a Martha Gellhorn?
«Il dovere di ricercare la verità per un giornalista esiste da sempre ed è il cardine deontologico della nostra professione. Martha Gellhorn è stata la più grande corrispondente di guerra del ‘900. Ha avuto una vita straordinaria, coraggiosa, fuori dagli schemi. Ha saputo inserirsi in un mondo dove gli uomini spadroneggiavano ed è stata l’unica delle mogli a mandare al diavolo Hemingway. La sua vita ei suoi scritti mi hanno sempre ispirata, fin da ragazza. Leggevo Per chi suona la campana e vidi che era dedicato a lei. Ogni donna oggi può pretendere di avere una vita alla Martha Gellohrn. Basta crederci. Il titolo del mio romanzo La guerra dentro è fortemente evocativo perché le donne devono innanzitutto superare i tanti ostacoli che si portano sulle spalle».
Il suo libro è pieno di passione per il giornalismo e per la ricerca della verità. Il concetto della libertà di informazione oggi viene sentito come “sterilizzato dai potenti”. Secondo la sua esperienza, perché anche lei è stata corrispondente di guerra, c’è un livello di libertà oggi per i giornalisti?
«É ovvio che nei periodi più duri c’è una sorta di libertà vigilata. E questo rappresenta una costante del nostro mestiere. Se si vive sotto un regime dittatoriale è più difficile avere margini di libertà. Non a caso quest’anno il Premio Nobel per la pace è andato a due giornalisti ed io ne sono stata contenta. In Europa abbiamo la fortuna di non avere guerre da più di settanta anni e viviamo in un Paese pacificato. Martha Gellohrn ha vissuto tutte le guerre, da quella spagnola alla seconda guerra mondiale, è stata sul confine della Finlandia durante l’invasione russa, è stata la prima reporter a sbarcare sulle spiagge della Normandia, è entrata per prima nel campo di concentramento di Dachau, si è recata in Vietnam decisa a smascherare le menzogne della propaganda ufficiale USA. Ha sempre cercato di vedere cosa ci fosse dietro le quinte del potere. In tempi di pandemia le notizie vere e verificabili possono fare la differenza e salvare vite. Oggi c’è bisogno più che mai di un buon giornalismo. L’intermediazione dei giornalisti è importantissima. Oggi siamo sommersi da tante informazioni e soprattutto da tante emozioni. Il compito di un vero giornalista è quello di attenersi ai fatti verificandoli con rigore professionale. Con il solo aiuto dei social io non ho un contesto e pertanto non capirò mai fino in fondo il valore di una notizia e nessuno potrà aiutarmi in questa ricerca della verità».
Le guerre sono fuori e/o dentro di noi?
«Martha Gellhorn ha raccontato le più grandi follie dell’umanità. Prendiamo ad esempio la guerra in Vietnam. Martha ha raccontato tante verità senza ricorrere alle “macchine di propaganda”. È necessario scoprire gli “altarini del potere”. Le guerre non sono degli accadimenti improvvisi ma nascono da precisi disegni politici ed economici. Sappiamo che vengono sostenute ed incoraggiate dai venditori di armi. Martha Gellhorn è stata sempre una donna libera con uno stile di scrittura asciutto, essenziale, preciso nella scelta delle parole. Per questo i suoi racconti giornalistici di guerra sono potenti. Dentro aveva un’inquietudine ed un bisogno di libertà in un’epoca nelle quale alle donne non era permesso nulla. Ovviamente ha pagato per questo un prezzo altissimo. Ha scritto numerose lettere nelle quali risultano evidenti le sue grandi doti intellettuali ed emotive».
Anche oggi notiamo una certa tensione verso le donne che riescono a conquistare una certa libertà di espressione. Ci riferiamo in particolare al libro della Boccassini che sta suscitando scalpore. Le donne devono pagare un prezzo per avere la libertà?
«Non credo. Bisogna essere coraggiose sempre e non vergognarsi delle proprie fragilità. Sottolineo che il mio libro non è un libro sul giornalismo ma la biografia di una donna eccezionale anche attraverso delle interviste da me condotte ad altri giornalisti tra i quali mio marito Jacques Charmelot che è la persona più discreta che io conosca e che detesta i racconti eroici degli inviati di guerra. Non dimentichiamo che anche Hemingway era un corrispondente di guerra ma sapeva fare soltanto il romanziere. Nel libro metto a confronto alcune pagine scritte da Martha ed altre scritte da Hemingway sullo stesso argomento. Vince Martha! Le notizie si devono attenere ai fatti che raccontiamo. Martha è stata la prima a raccontare le guerre dalla parte di chi non ha voce e cioè i civili».
Cosa pensa dei giornalisti di oggi che spesso si esprimono in un italiano raffazzonato. C’è una minore preparazione accademica?
«Innanzitutto dobbiamo definire chi sono i giornalisti oggi e a chi si rivolgono. Le grandi testate investono poco sulla formazione delle nuove leve. E questo è un peccato. Più giornalismo serio,più democrazia».
Le risulta che Indro Montanelli ebbe una relazione con la Gellhorn?
«Martha scrive di questo giornalista italiano incontrato prima in Spagna e poi in Finlandia. Montanelli ha forse un po’ ricamato su questa storia. Escludo che Martha possa essere rimasta terrorizzata alla vista di un topo in un ristorante, come riferisce Montanelli e che per questo motivo lo abbia abbracciato».
Oggi le notizie seguono la regola del “mordi e fuggi” mentre prima c’erano anche trasmissioni televisive serie di approfondimento. Ha notato anche lei questo cambiamento?
«Certo. Internet e le nuove tecnologie hanno rivoluzionato il modo di fare informazione. Siamo tempestati da una massa di informazioni. Sono del parere che la scuola dovrebbe educare i giovani ad un uso corretto dei social».
Il suo libro è un omaggio a Martha Gellhorn. Quale messaggio veicola alle donne di oggi?
«Tutte le ragazze possono avere una vita come quella di Martha ed avere un grado di autonomia e di libertà su terreni pericolosi e meno rassicuranti. La vita ci deve dare quello che ci spetta».
Pensa che i giornalisti possono entrare in politica?
«Oggi fare politica è un mestiere serissimo e faticoso e l’antipolitica di questi ultimi anni ha fatto seri danni. Si parla spesso della corruzione del nostro Paese. “Se tutti rubano nessuno ruba” e questo non va bene. È duro il confronto della società civile con le strutture della politica. Mi auguro che ci siano più donne a rischiare. Vedi le ultime elezioni…».
C’è qualche giornalista oggi che può paragonarsi a Martha Gellhorn?
«Siamo tutti Martha Gellohrn quando rispettiamo i fatti e li verifichiamo. Con un giornalismo appassionato, sempre teso alla verità, stiamo tutti meglio».