Gattanera e Olimpia Alvino: binomio inscindibile
Una delle menti di Gattanera teatro, realtà teatrale interessante e appassionata, è Olimpia Alvino. Parlare con lei è un vero piacere.
Come nasce Gattanera teatro?
La verità è che eravamo in tournée io e Teresa Calabrese in Calabria; in attesa di andare in teatro. Si parlava di sogni e prospettive.
Io facevo spettacoli per ragazzi già da qualche anno, in maniera poco organizzata, per la buona volontà mia e di Lorenzo Zollo, tecnico e scenografo conosciuto lavorando insieme al Teatro Manzoni di Roma.
Avevamo già prodotto “Alice e il paese delle meraviglie” e “Artù e la nella Roccia”, in cui Teresa lavorava come attrice. Lei aveva avuto esperienze simili in Sicilia prima di trasferirsi a Roma.
E ci siamo trovate a dirci ma perché non facciamo una compagnia? Sì però facciamo anche i corsi di teatro… il mio sogno è la scuola di teatro…
E così tra uno spettacolo e un altro, una chiacchiera, poi una riunione… insomma un giorno ci siamo ritrovati a firmare lo statuto di GattaNera Teatro.
Il lavoro che come Gattanera fate è soprattutto per i ragazzi, che tipo di teatro gli proponete?
A noi piace l’idea di creare sogni e magie per le famiglie.
I nostri spettacoli sono pensati sempre più in grande possibile e sempre con qualcosa che sorprenda.
La compagnia è formata da professionisti preparati che selezioniamo con cura. E ci piace che sia in teatro.
Molte compagnie di teatro per ragazzi scelgono spazi diversi, portano il teatro nelle strade, nei boschi, nelle case. Lo trovo bellissimo.
Ma a noi piace che i bambini, le famiglie, riscoprano la magia delle poltrone di velluto, del sipario, della sala buia.
È un’epoca questa in cui il teatro va così poco di moda, sembra antico. Per noi è una magia senza tempo e lavoriamo perché il pubblico torni a riempire le sale.
Teatro in inglese in che modo Gattanera lo propone?
Il teatro in inglese è una cosa che noi iniziamo quest’anno, ma sono già diversi anni che “va di moda”.
La lezione è svolta da insegnanti madrelingua inglese o che hanno una pratica alta della lingua, con l’aiuto di un assistente: si articola in una prima parte volta all’apprendimento attivo della lingua inglese e del lessico, anche specifico relativo al teatro, e in una seconda in cui si utilizzano le cose apprese nella prima parte
in funzione della performance, sia sotto forma di improvvisazione libera che, in un secondo momento, di interpretazione di un testo calibrato in base all’età degli allievi.
E naturalmente nella seconda parte dell’anno si lavora allo spettacolo che sarà in lingua mista o completamente in inglese a seconda del livello raggiunto dal gruppo.
Con la direzione del Teatro Tirso de’ Molina, con il quale collaboriamo da diversi anni, ci è sembrato bello e interessante offrire questa possibilità in più.
Come vi siete formati voi di Gattanera?
Oggi siamo una squadra di professionisti con sogni e obiettivi ben precisi.
In particolare da quest’anno a Lorenzo Zollo sono subentrati Umberto Bianchi e Marco Pratesi, che hanno dato una forte spinta al nostro lavoro.
Umberto è direttore del Teatro Abarico, nonché coordinatore e docente della CTC, un’Accademia professionale di Roma di altissimo livello, diretta da Claudio Insegno.
Oltretutto si occupa di didattica del teatro a vari livelli, è insegnante di regia e regista molto interessante;
Marco è un attore molto talentuoso, piega un po’ di più verso il cinema, il che ci apre nuovi scenari; è grafico, fotografo, si occupa di videomaking ed è preparato come insegnante sul versante Stanislawskji.
Il loro ingresso ci ha dato spunti nuovi per iniziare a fare spettacoli non solo per ragazzi.
In piena pandemia abbiamo prodotto un piccolo gioiello: “Elisabetta e Limone” di Wilcock, con me e Valerio Ribeca in scena e la regia di Salvatore Guadagnuolo, e ora lo stiamo distribuendo con un ottimo riscontro.
E abbiamo in preparazione altre cose, ma sono scaramantica e quindi poi saprai.
Come scegliete i testi da portare in scena?
Scegliamo storie da raccontare, quelle senza tempo a cui magari aggiungiamo un tocco personale.
Dopo Alice e Artù, abbiamo raccontato il Mago di Oz con spirito un po’ dispettoso e maleducato. Poi il nostro Hercules che tutto sembrava eccetto un supereroe.
E ancora Robin Hood, che riserva una sorpresa finale molto speciale.
Con Aladdin abbiamo piegato più decisamente verso lo spettacolo musicale.
Scegliamo spesso musiche composte appositamente per i nostri spettacoli, a volte mescolandole con i grandi classici.
Insomma non puoi fare Aladdin senza “Il mondo è mio” o Mary Poppins senza lo zucchero o supercalifragischespiralidoso.
Che mi dici di “Praticamente perfetta – la storia di Mary Poppins”?
Con “Praticamente perfetta – la storia di Mary Poppins” ci siamo spinti un po’ più su. È
una produzione impegnativa: 9 attori, 3 tecnici, cantato e ballato. Ho studiato personalmente canto e danza per un anno e continuo.
Insomma ci piace fare le cose per bene.
E poi una piccola cosa a cui teniamo molto è “Cara Kitty”, dal diario di Anna Frank, in cui portiamo in scena due dei nostri, per raccontare agli adolescenti di oggi di un’adolescente senza instagram che è riuscita con le sue parole a diventare il simbolo di una storia tragica e universale.
Che difficoltà con il covid?
Il teatro è fatto di relazioni, quindi all’inizio è stata veramente dura; ci siamo molto concentrati sui corsi, sugli allievi, facendo lezioni online, video-saggi, cercando di esserci per loro, di far loro compagnia, di continuare a dare e a tirare fuori emozioni.
La pandemia ha rischiato di spegnere le emozioni, ci ha chiusi tutti dentro le nostre bolle, come pesci in acquari solitari.
Ma noi teatranti siamo abituati alla difficoltà, a guardare in faccia l’abisso: abbiamo continuato e continuiamo a farlo senza mollare un centimetro.
Quanto è difficile far appassionare i bambini ad un testo oggi?
Oggi le difficoltà maggiori sono la velocità e la quantità di informazioni e sollecitazioni che i bambini ricevono continuamente e il fatto che la tecnologia li isola con l’illusione di metterli in relazione con il mondo intero.
La comprensione di un testo, il laboratorio teatrale, necessitano il loro tempo invece, e soprattutto necessitano di aprire i sensi e il cuore.
Quindi per prima cosa bisogna ri-educare ad ascoltare e a giocare senza telefono.
Fatto questo è facile perché i bambini sono sognatori e qualunque storia li appassiona e da un momento all’altro tu che eri insegnante diventi apprendista delle loro magie.
In scena invece credo che sia questione di sincerità e di apertura. Se racconti davvero e racconti per loro e non per te stesso allora ti seguiranno, o forse ancora una volta ti condurranno loro.
Quest’anno si riprende o no?
Perché? Ci eravamo fermati? … scherzo! Ma forse no!
Insomma noi ragioniamo sempre per il fare mai per il fermarsi.
Se non si riprende subito prima o poi si riprenderà, quindi meglio tenersi pronti! Intanto noi lavoriamo alla nostra Famiglia Addams.
Chi si ferma è perduto!