Sessant’annai anagrafici, 46 passati a cantare, 30 e passa album pubblicati. Fiorella Mannoia, oltre a essere l’interprete per antonomasia della bella musica italiana, è anche questo: una storia fatta di canzoni che toccano gli ascoltatori, un personaggio aperto alle contaminazioni e al futuro. Infatti nel libretto del doppio cd Fiorella (che esce questa settimana e contiene 18 duetti con artisti eccelsi) è lei stessa a scrivere: “Sono una donna davvero fortunata. Davanti a me ho…uno splendido passato”.
Inevitabilmente il nostro incontro verte dunque sul tempo: quello che è stato e quello che sarà. E anche sul “come si cambia”, parafrasando il suo celebre successo. “La vita ti cambia, è vero – esordisce presentandoci il disco – con gli anni ci si prende la libertà di decidere le priorità. La bellezza dell’età è questa, poter dire nel mio caso che il rispetto più grande che nutro è nei confronti del mio pubblico”.
Dopo il disco tributo a Lucio Dalla esce questa raccolta con brani storici più l’inedito Le Parole Perdute. E il disco di inediti che stavi preparando?
«Deve aspettare, non è finito. Lo sto scrivendo con Bungaro, Ivano Fossati e Cesare Chiodo. Il fatto è che non mai scritto testi e per una ragione o per un’altra per ora è sospeso. Quindi raccolgo idee e scelgo bene quello che scrivono altri.»
Una collezione di questo tipo la volevi fare da tempo?
«In realtà ci ho pensato perché dopo il disco per Lucio ho fatto solo 3 concerti e mi sono chiesta se valeva la pena fare un disco per i miei 60 anni. Ho aperto i cassetti ed è uscito di tutto, io mi dimentico anche quello che faccio. Alla fine volevo fare un cofanetto di 4 dischi ma mi dicono che non si può chiedere al pubblico in questo periodo di pagare tanto. Quindi in due dischi ho dovuto condensare quello che volevo metterci, privilegiando anche dei pezzi che magari non faccio da tempo dal vivo, altrimenti poi si dice: oddio, ancora I Treni A Vapore. E per questo motivo il duetto con Pino Daniele non è rientrato nel disco fisico ma solo per l’online.»
Arriverai a scrivere un album tutto da sola?
«Non vedo perché no, ma spero non mi abbandoni mai la lucidità per capire cos’è che vale e cosa no. A me le canzoni sono sempre piaciute prima per i testi, perché parole buone salvano anche una musica non eccellente, mentre non è vero il contrario. Il testo mi ha fatto sempre capire se vale o no l’intera canzone. Noi siamo a metà tra l’attore e il cantante.»
Quindi Le Parole Perdute a chi la dedichi?
«È un testo molto più politico di quello che sembra perché è diretto a un partner ma anche a tutti noi. Dice: restiamo uniti possiamo sperare che il brutto momento passi con l’amore, il rispetto e la partecipazione. Ci vuole un coraggio di questi tempi per vivere perché ci stanno portando via i sogni, come dico nella canzone. E solo se partecipiamo siamo salvi.»
Quando non sono perdute le parole?
«Beh, quando vai a sentire Gino Strada di Emergency capisci che le parole hanno un significato. E soprattutto se si pensa a quante persone hanno rimesso la vita stessa per aver detto delle parole.»
Cosa ti hanno insegnato i grandi autori che hanno scritto per te in questi anni?
«Anzitutto mi hanno fatto venire la paura del confronto, perché io ho avuto la fortuna di cantare Giovanna D’Arco di De Gregori o altri testi che sono dei capolavori. Poi mi hanno insegnato l’utilizzo della metafora, una cosa a cui forse io non arriverà mai. È una ginnastica continua perché la conoscenza della scrittura va approfondita.»
La curiosità per capire come giudichi il tuo passato è forte…
«Non sono una nostalgica, perché mi concentro sempre sul dopo. Certo, per fare questo disco mi son detta spesso: Mamma mia! Da Ruggeri a Fossati a tutti gli altri, ne ho fatti di incontri straordinari. Ognuno ha lasciato un segno, anche inconsapevolmente, per farmi diventare quello che sono.»
E come sei oggi?
«Più libera. Me ne frego di tante cose, voglio cantare e dico quello che penso. Poi mi mettono in guardia: attenta che se fai questo poi non ti invitano più. E vabbè,penso io, andrò a suonare da un’altra parte. Ma sorrido quando vedo che i miei colleghi si arrabbiano per il vino caldo in camerino o il faro puntato male nel live. Anche io ho attraversato quel momento ma non si può controllare tutto e non voglio arrabbiarmi.»
Hai riunito in una sola operazione i più grandi attualmente sulla scena italiana. Come hai fatto?
«Se Ligabue mi ha detto di sì per Metti in circolo il tuo amore, ho pensato che anche personaggi come Adriano Celentano l’avrebbero fatto. Ci siamo incontrati solo una volta in tutti questi anni e per fortuna ha una buona percezione di chi sono e ha subito accettato di duettare su una canzone che solo i fanatici del suo repertorio conoscono, Un Bimbo Sul Leone. Paolo Conte invece non mi vuole! Mi manda sempre messaggi carini, ma non ce l’ho fatta ancora a cantare con lui.»
Poi ci sono anche i giovani come Ferro, Silvestri, Fabi…
«Beh, non è che sono tanto giovani pure loro, il tempo passa, i più giovani si avvicinano comunque ai quarant’anni. Io li ho chiamati perché c’era sempre un motivo di scrittura per me, li ho voluti omaggiare io e onestamente mi sarei accontentata anche di meno collaborazioni, ma ne sono arrivate tante.»
Le cose irrinunciabili per questo disco quali erano?
«Franco Battiato, visto che non avevamo mai inciso assieme, appena l’ho cercato subito si è sentito parte del progetto. Laura Pausini per Quello Che Le Donne non dicono, che solo con una donna potevo cantare. È anche un omaggio alla nostra amicizia dopo Amiche per l’Abruzzo. Lei è per me il coraggio, la forza, è tutto quello che io non riesco a fare. Dalla non poteva mancare, ho ripescato un pezzo che non eravamo riusciti a mettere nella prima tiratura di A Te, Il Parco della Luna. E Dori Ghezzi mi ha fatto un regalo particolare, tornando a cantare. Io ho sempre rimpianto di non essere riuscita a lavorare con Fabrizio De Andrè ma avere lei è stato importantissimo. E pazienza, custodisco i ricordi dei momenti che ho vissuto assieme a loro.»
Sei stata spesso ai talent show italiani, appoggi ancora questo format?
«Cosa devo dire…ci sono e sono le uniche cose che i giovani possono fare perché la discografia è in crisi e lì c’è speranza di poter emergere. Ma è tutto fatto di fretta e con poche possibilità di crescita, quindi è ovvio che a volte la competizione può anche portare alla sfrontatezza, alla presunzione a volte. Ma se alcuni di loro sono così è solo perché hanno paura. Paura di non restarci. Ma quanti cantanti deve sfornare questo piccolo fazzoletto di terra? Sono troppi ed è naturale che ce la faranno in pochi.»
A fine novembre parte il nuovo tour, come sarà lo spettacolo?
«Voglio che ci sia ironia e non autocelebrazione. Sarà diviso in quattro parti, ho recuperato anche un vecchio super 8 degli anni 60 che mi ritrae con un vestito che…sarà una sorpresa perché me lo stanno confezionando proprio uguale. Poi rifarà i pezzi del mio periodo “suora laica” quando andavo in giro tutta abbottonata. E poi probabilmente ci sarà una festa finale con qualche ospite che ha contribuito al disco.»