Il nuovo album del cantautore ligure Davide Geddo, si intitola Fratelli: celebra lo spirito di comunità ed invita ad apprezzare il valore delle piccole cose che ci circondano. Ecco come ce lo presenta lo stesso artista di Albenga: «Nel primo disco Fuori dal comune (2010) ho cercato di far venire fuori il mio lato intimo e la mia personale sensibilità. In Non sono mai stato qui (2014) ho descritto quello che non sono riuscito ad essere o a fare, la mia vita immaginata, i miei alter ego. Con Alieni (2016) ho esplorato le alienazioni e le differenze che emergono nei rapporti con gli altri. Ora con Fratelli, in modo completamente nuovo sono andato alla ricerca di quel principio di complicità tra persone che caratterizza il mio percorso musicale e di vita. Non più una fuga dunque ma un incontro con gli altri. Fratelli vuole essere pertanto una risposta all’odio e alle frustrazioni dei nostri giorni. Un album positivo che invita ad essere consapevoli delle tante piccole cose e delle grandi persone che ci circondano nel quotidiano».
Ecco la tracklist: Su la testa, Parlandone dal vivo Differenze, Come in pazzo, Fino all’alba, Resta, A colpi di karate, La guerra tra poveri, Condominio 3 piano Scala B, Perdersi, Anna vorrei, La tua finestra, Amore tra parentesi.
Il disco è stato registrato all’Actone Recording Studio di Albenga(SV) per l’etichetta Music FC con la collaborazione di Matteo Ferrando alla batteria, Dario La Forgia al basso e Mauro Vero alle chitarre. Altri musicisti coinvolti: Fabio Biale, Paolo Bonfanti, Roberta Carrieri, Sergio Cocchi, Lorena De Nardi, Nico Ghilino, Folco Orselli, Michele Savino, Federico Sirianni, Rossano Villa, Alberto Visconti. Ricordiamo che Geddo ha aperto il concerto di Daniele Silvestri e vanta collaborazioni con artisti del calibro di Claudia Pastorino, L’Orange e Zibba ed inoltre è direttore artistico del Festival Su la testa di Albenga sponsorizzato dall’Associazione ZOO.
Noi di Mydreams abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
Quanto le tue origini liguri hanno influenzato la tua musica?
«La Liguria è un territorio particolare; i tratti irregolari e nervosi della costa si contrappongono alla serena visione del mare. Credo nell’influenza della geografia sull’umore e sull’evoluzione personale e in fondo direi che i liguri portino con sé le contraddizioni della propria terra. La storia musicale e artistica della antica scuola non può inoltre non avere avuto un’influenza anche se io ho da subito cercato di ascoltare la canzone d’autore di tutta Italia e ben presto ho spaziato soprattutto su quella americana. Il mio approccio all’arte e alla canzone è molto umile ma anche leggero, vivo senza responsabilità la grandezza dei nostri maestri perché credo che la sincerità nell’arte sia un valore a prescindere».
Il tuo ultimo album si intitola Fratelli. Ce ne puoi spiegare brevemente la genesi?
«Quando ho iniziato la lunga gestazione di questo album era un momento di particolare scoramento e solitudine ma era anche un bel momento per la mia musica. Suonavo tanto e in diversi contesti incontrando persone interessanti con cui ho legato facilmente e in profondità. Mi è pertanto venuta voglia di celebrare quello spirito di fratellanza e unione che ho respirato sulla lunga strada della musica in un momento in cui mi sembrava che la mia vera famiglia fosse in fondo quella. Inoltre volevo dare respiro alla mia discografia realizzando un disco complementare ad Alieni (2017) in cui parlavo di incomunicabilità, alienazione e solitudine parlando di unione, fratellanza e amicizia».
È inutile negare che il titolo è accattivante, soprattutto in questo periodo difficile dovuto all’emergenza sanitaria. Tutti noi abbiamo bisogno di incontri, di empatia, di condivisione. Chi sono dunque per te i fratelli ?
«I fratelli di cui parlo sono le persone che mi somigliano; i tanti che si sentono dalla stessa parte di una barricata anche senza conoscersi bene, che condividono uno spirito. In particolare poi celebro i tanti artisti che conosco e che non hanno dimenticato il circuito della strada, dei locali, della polvere. I tanti che hanno rischiato ogni serata spesso senza rete, in un never ending tour che li ha portati in mezzo alla gente con una proposta con una dignità di pensiero e di attenzione vera per uno scambio autentico. Gli algoritmi imperanti hanno costruito mondi su misura in cui molti riescono a sviluppare meglio i propri gusti ma hanno anche imprigionato le proposte che invece non riescono a infrangere i muri della settorialità soprattutto quando non sono semplicemente incasellabili. Per questo è importante restare attivi anche sul circuito dei locali e delle rassegne più disparate oltre che nei salotti in cui troppi si rifugiano dopo due premi vinti».
Nella copertina dell’album tu incontri te stesso in un bellissimo scatto in bianco e nero. Chi ne è stato l’autore e cosa significa per te questa immagine?
«L’autore della foto è Mario Rossello che è un bravissimo fotografo di Albenga che mi ha spesso seguito e fotografato. Il soggetto l’avevo ideato io ma lui è stato bravissimo a coglierne il senso e a realizzarlo e a migliorarlo. Lui ha scelto la strada e l’ambiente e io ho realizzato subito che la mia musica resta una strada poco battuta ma limpida e sincera in mezzo alla natura».
Quali brani ti rappresentano meglio in tutta la tua carriera di cantautore e perché?
«La risposta classica è che non c’è un brano che mi rappresenta più di altri. Una risposta che ha un fondamento soprattutto per il fatto che il tempo in realtà poi ci cambia e quindi cambia anche l’approccio verso ciò che abbiamo scritto. Ma non voglio certo rifugiarmi in una risposta così sfuggente. No sono strettamente autobiografico anzi preferisco raccontarmi senza parlare di me. In Fratelli parlando di amicizia, di polvere e di strada credo di essere stato molto più riconoscibile. Per esempio in Su la testa celebro un mondo che conosco bene e che in qualche modo definisce anche il mio modo di vivere. Il fatto di cantarla con dei miei miti come Alberto Visconti, Federico Sirianni e Folco Orselli forse ne fa la canzone più rappresentativa e simbolica di quella che con fatica riesco a definire carriera ma che di certo è stato un grande viaggio in un mondo in cui mi sono affacciato tardi e con fatica personale senza averne per niente le stigmate del predestinato o il sostegno di chi mi circonda e che anzi è stato un fantastico esempio di testardaggine e passione. In questo senso posso dire che quella canzone, non sia soltanto un J’accuse ma anche il tratteggio di un grande orgoglio di appartenere ad un certo tipo di musica e di canzoni».
Quali caratteristiche dovrebbe avere il fruitore ideale della tua musica?
«Il problema più grande oggi per chi con una canzone, senza esagerare, vorrebbe provare anche a dire qualcosa è avere a che fare con la concentrazione e l’attenzione delle persone. A mio parere la dimensione della musica non è il silenzio però l’ascolto sì. Ed è un’esigenza generale. Trovo desolante il ridimensionamento dell’ascoltarsi e del toccarsi rispetto alla dittatura del guardare e del parlare. Io chiedo solo questo al mio ascoltatore ideale: l’ascolto. Però non mi arrendo, io non sempre ma a volte accetto anche serate dove l’attenzione te la devi guadagnare e cerco sempre di migliorare i miei spettacoli e l’approccio con il pubblico perché so che è una guerra giusta che si può vincere dando a tutti il senso dell’importanza e della bellezza di tacere ogni tanto per ascoltare davvero».
In che modo pensi di promuovere l’album dal momento che non sono previsti a breve concerti dal vivo?
«Come posso. Ma è davvero difficile, forse impossibile. Però ho voluto lo stesso rilasciare l’album perché ho realizzato che comunque per me la musica è un percorso personale. Se l’avessi tenuto in naftalina non avrei letteralmente vissuto in quest’anno terribile e in qualche modo non sarei riuscito ad andare avanti. Certo, sperando in un ritorno del live nell’estate 2021, sarà particolare promuovere un disco dell’anno precedente ma i miei dischi sono sempre durati due o tre anni e quindi non ho grandi preoccupazioni ma solo una gran voglia di salire su un palco. Nel frattempo io fermo non ci sto e faccio la punta ai miei prossimi progetti».
Cosa consiglieresti ad un ragazzo/a futuro musicista?
«Il primo consiglio è di capire bene cosa si vuole fare. Cantare è una cosa, suonare un’altra cosa e cantare quello che si scrive ancora un altro mestiere. Le tre cose sono legate e si possono fare anche insieme ma capire cosa si vuole fare, a quale livello, per quanto tempo e soprattutto cosa si è pronti a sacrificare in cambio è fondamentale. La musica è un’avventura bellissima ma chiede tanto anzi troppo a livello personale. Un hobby è un’altra cosa. Troppe volte si finisce a correre come Vil Coyote sul vuoto ormai oltre il precipizio se si insegue il successo senza fermarsi a riflettere cosa sia per te».