Dal 19 febbraio è disponibile in digital download e in tutte le piattaforme streaming l’album di esordio di Marco Liuzzi, il pianista jazz contemporaneo siciliano e brindisino d’adozione. Il titolo Earthrise e l’artwork riportano alla memoria la famosa foto della NASA del 1968 scattata dalla Luna al sorgere della Terra. È in questo contesto che nasce un disco ricco di simbolismi e di interrogativi metafisici.
Prodotto da Vertercords è composto da nove tracce organizzate in tre gruppi: tre brani omaggiano Claude Debussy con contaminazioni di standard jazz, tre citano in modo inusuale brani di Herbie Hancock, GoGo Penguin e E.S.T., le ultime tre esplorano le sonorità di Erik Satie. In questo primo lavoro Marco Liuzzi è affiancato da Roberto Cati alla batteria e Cosimo Romano al basso.
Ecco la tracklist di Earthrise: Blue in Green, Crystal Silence,Round Midnight, From Gagarin’s point of view, Hopopono, Cantaloupe Island, Gymnopedie n°66, Gnossiene n°66-Il libro Celato, No Way Out.
Marco Liuzzi racconta: «Questo album nasce da un desiderio semplice ed umano ovvero quello di un artigiano che vuole creare e lasciare qualcosa di sé agli altri. Cosa vorrei lasciare? Il mio amore per alcuni autori di musica classica e jazz che sono stati meravigliosi compagni e, senza saperlo, hanno donato a me al mondo intero della splendida musica».
Noi di Mydreams abbiamo avuto l’onore ed il piacere di intervistarlo.
Quando e come è nata la passione per la musica jazz?
«La passione per la musica nasce dall’infanzia. I miei genitori, che ringrazio, mi hanno mandato a lezioni di pianoforte dall’età di 8 anni. Studiare pianoforte significava studiare musica classica secondo un metodo ormai antiquato che consiste purtroppo nell’insegnare agli alunni ad essere esecutori di uno spartito, più che musicisti completi. Fin da piccolo cercavo di suonare altri generi. Il jazz per me è stata una svolta e devo ringraziare Fabio Rogoli, illuminato maestro di questo genere. Il jazz, nella sua accezione più pura, è musica libera».
Il tuo primo album Earthrise è uscito il 19 febbraio. Ce ne puoi raccontare la genesi?
«Questo album nasce da una naturale convergenza delle mie maggiori influenze musicali fino a oggi: il jazz, la musica classica ed un certo minimalismo. La realizzazione di diversi brani che andassero verso questa direzione era già nei piani, o meglio nei desideri, da alcuni anni. Avevo accumulato diversi appunti musicali. Quando mi sono deciso a concretizzare questo materiale, almeno altri tre brani sono venuti da soli, in modo naturale. Il desiderio che c’era dietro questa voglia di pubblicare l’album credo sia semplice:voler lasciare qualcosa agli altri, in questo caso il mio amore per alcuni autori di musica classica e jazz che sono stati meravigliosi compagni e hanno donato al mondo la loro splendida musica. È un po’ come portare a compimento un’opera: finchè non è visibile al mondo non può considerarsi veramente completa. Devo naturalmente ringraziare i miei compagni di viaggio: Roberto Cati alla batteria e Cosimo Romano al contrabbasso e basso elettrico. Oltre a una grande stima nei loro confronti, ho un incolmabile debito di gratitudine per il loro contributo assolutamente essenziale».
Il titolo dell’album rimanda alla famosa fotografia della NASA del 1968 scattata dalla Luna al sorgere della Terra. Cosa rappresenta per te questo scatto e perché l’hai scelta come copertina?
«L’idea nasce da due suggestioni. La prima è quella dello spazio:senza incalzare l’ascoltatore o riempire la musica di note, si lascia dello spazio tra le note, dove possono risuonare. La seconda si rifà al meraviglioso brano degli E.S.T. From Gagarin’s point of view che è stato un caposaldo di questa produzione. Il punto di vista di Gagarin, naturalmente, proveniva dallo spazio, guardando la Terra. Questi concetti, credo, sono brillantemente riassunti dall’immagine che si parò di fronte agli astronauti dell’Apollo 8-il comandante Frank Borman, il pilota del modulo di comando Jim Lovell e il pilota del modulo lunare William Anders-quando dallo spazio, videro la Terra sorgere, proprio dietro la Luna. L’immagine è stata immortalata appunto in questa foto, conosciuta come Earthrise, che è anche il titolo dell’album. Una domanda sorge naturale nel guardare questa immagine che mostra in modo concreto come il nostro Pianeta sia piccolo e fragile: siamo dei custodi responsabili? Ovviamente è una domanda retorica».
Quale delle 9 tracce che costituiscono l’album è,secondo te, quella più evocativa e metafisica?
«È difficile rispondere, sarebbe come chiedere a un padre di scegliere tra i propri figli ma ci provo: credo che Crystal Silence sia forse la più equilibrata e godibile, From Gagarin’s point of view la più evocativa dal punto di vista musicale, Gnossiene n°66 la più spirituale dal punto di vista dell’ispirazione».
L’album presenta omaggi a Claude Debussy e a Erik Satie che confermano la tua profonda conoscenza della musica classica. E’ possibile, secondo te, una contaminazione tra diversi generi musicali ?
«Ci sono due tipi di innovazione, di creazione: incrementale e radicale. Chi ragiona per categorie, per sistemi di riferimento fissi, può solo innovare per incrementi. In questo modo, può solo realizzare qualcosa un pochino meglio di chi l’ha preceduto, che non è poco a dire la verità, e vale sicuramente la pena di farlo. Il mondo è però di chi si crea nuovi sistemi di riferimento, senza pregiudizi legati a vecchi sistemi e categorie. Non credo che Beethoven si svegliasse la mattina pensando di comporre “musica classica”. Probabilmente voleva comporre della bella musica. La contaminazione, intesa come rifiuto di attenersi ad uno schema rigido, ad una “categoria”, non solo è possibile, bensì è necessario se si vuole provare a fare qualcosa di nuovo e di interessante. È una condizione indispensabile, ma naturalmente non è sufficiente».
In quali brani possiamo ritrovare sonorità mediterranee?
«Non ci sono sonorità volutamente o esplicitamente mediterranee se non naturali ed inconsce influenze personali, parte del nostro bagaglio di ascolti. C’è un brano che associo al Mediterraneo e più specificatamente alla Sicilia, dove sono nato. Questo brano è Cantaloupe Island che durante la produzione aveva come titolo di lavoro Prickly Pear Island,la terra dei fichi d’india. Non so bene spiegare perché,forse per la combinazione di cambiamento e ripetizione che propone il brano. Si cambia per rimanere uguali, come il Gattopardo. Non sono sicuro che la Sicilia che io ricordo esista ancora oggi. Sono andato via 25 anni fa. Ricordo la sua varietà, i contrasti, la bruttezza insieme alla bellezza pura, mozzafiato, che le parole non possono spiegare. Forse il brano ha preso quasi una vita propria ed esprime questi aspetti».
Tu sei anche un ingegnere informatico. Come riesci a conciliare la passione per la tecnologia e quella per la musica?
«Non sento molto questa dicotomia tra “lavoro” e la musica. Ho la fortuna di essere appassionato al mio lavoro di ingegnere informatico. C’è bellezza anche nel mondo digitale. Quello che sento però è che da diverso tempo, il tempo non basta più. C’è da sottolineare che esiste una relazione tra musica e tecnologia. Chi padroneggia la tecnologia può avere qualche piccolo vantaggio nella musica. A volte si tratta di un vantaggio importante, come una certa musica elettronica,ma spesso invece, è qualcosa di trascurabile e, a mio parere, rischia di distrarre dall’atto creativo».
Come intendi promuovere l’album? Farai concerti dal vivo?
«Purtroppo la situazione della pandemia in corso è assolutamente perniciosa da questo punto di vista. È quasi impossibile programmare alcunché. Vedo che alcuni amici stanno affinando la loro creatività attraverso concerti online o soluzioni simili. Sfortunatamente, non vedo molto ritorno da queste iniziative:non credo siano una vera alternativa alla musica dal vivo. Io ho il problema aggiuntivo di dover conciliare anche impegni non musicali. Preferisco avere un atteggiamento abbastanza rilassato rispetto alla promozione».