Carlo Fenizi è un giovane regista e sceneggiatore, nato a Foggia nel 1985. Ha studiato a Letteratura e Cinema e si è laureto con lode in Letteratura e Lingua, Studi Italiani ed Europei, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza.
Successivamente ha frequentato a Firenze la scuola di cinema Immagine e ha diretto cortometraggi, spot e videoclip.
Nel 2008 nella sua amata Spagna, ha diretto il suo primo film “La luce dell’ombra”, definibile a buona ragione come un lungometraggio dal taglio noir, di cui è anche autore. Nel 2010 ha realizzato il documentario “Lo sguardo libero”, nel 2011 scrive e dirige la commedia fiabesca “Effetto Paradosso”, mentre nel 2013 è il regista del film “Quando si muore”. Nello stesso anno, nel mese di ottobre, viene premiato a Milano al 5th International Social Commitment Award. Attualmente con le scuole in progetti di formazione cinematografica.
Parli, pensi e sogni in spagnolo… Che cosa ti affascina di questa lingua?
«Per studio e lavoro ha sempre caratterizzato gli eventi della mia vita, cinematografici e non, personali e professionali. Di questa lingua amo la profondità! È una lingua complessa dal punto di vista della grammatica storica ed estremamente diretta e intuitiva nella forma. Può essere dura e avere anche un suono seducente e disarmante.»
Che cosa pensi abbia di più dell’ italiano?
«È una lingua codificata meglio, lineare e per niente ambigua dal punto di vista strutturale. Ha un suono semplice e misterioso al tempo stesso. Vibra con colori dalle tinte forti e nette.»
Che cosa ti affascina della cultura spagnola?
«Mi affascina la forza e l’orgoglio delle radici latine; la contrapposizione tra colori forti e vivaci e l’oscurità di certi riti e tradizioni, il continuo dualismo tra “inquisizione” e “progresso”.»
E di quella italiana?
«Mi affascina della cultura italiana la varietà strabiliante della nostra storia e della nostra identità, la capacità di rendersi liberi attraverso la creatività, la flessibilità, le sfumature, trovare un ordine e una “risoluzione” anche nel caos.»
Il cinema oggi, come lo vedi?
«C’è un bel fermento e molti talenti ma ho la sensazione che produzioni e soprattutto distribuzioni osino poco. Si tende a dare visibilità soprattutto a storie che si crede possano piacere al grande pubblico, spesso molto simili tra loro, con uno scarso ricambio di attori. Penso invece che il pubblico vada educato e abituato. L’identità italiana, il nostro modo unico di fare cinema, storicamente comprovato, rappresenta la strada dl successo. A mio parere sarebbe salvifico iniziarsi a distaccare dall’imitazione dei modelli statunitensi.
In Italia secondo te siamo ancora troppo tradizionalisti?
«Sì, lo credo fortemente, anche se in certi aspetti è un’autoconvinzione collettiva, i fatti e la realtà mostrano, spesso, altro. Inoltre penso che questo dibattito sul tradizionalismo, ormai comunemente riconosciuto, in qualche modo ci disciplina e ci serve continuamente a creare nuovi stimoli per un fare dialettico in tutti i settori.»
Secondo te i giovani come possono farsi un loro spazio nel Cinema?
«Studiando, impegnandosi, consapevoli del fatto che, come tutto nella vita, il cinema è sforzo e fatica. Bisogna osare, sperimentare, mai criticare, solo FARE.»
E nel mondo dello spettacolo in generale?
«L’espressione “mondo dello spettacolo” mi ha sempre lasciato perplesso e mi provoca una sensazione di dubbio e diffidenza. Cos’è lo spettacolo? Il cinema, la danza, il teatro, la televisione sono cose molto diverse tra loro (fortunatamente) e richiedono competenze e abilità altrettanto diverse. Forse avendo questa consapevolezza (della competenza) entrare nel “mondo dello spettacolo” sarebbe un percorso più limpido, selezionato e meno generico e generalista.»
E tu come ci sei riuscito?
«Non me la sento di dire di esserci riuscito, sono ancora in una fase in cui tutto è in cantiere e in evolversi. Ho avuto la fortuna, a 23 anni, di incontrare una persona che ha voluto darmi fiducia, finanziando il mio primo lungometraggio La luce dell’ombra, un noir molto sperimentale e azzardato, realizzato con poca consapevolezza, poi ho fatto una scuola di regia dopo essermi laureato in Lingua e letteratura. Nel 2011 ho scritto e diretto il film Effetto Paradosso sostenuto da Apulia Film Commission, e poi nel 2013 mi hanno chiamato per dirigere una commedia dallo stampo più commerciale. Posso dire che una cosa ha tirato l’altra non senza sforzo e determinazione. E ogni lavoro cronologicamente è stato una scuola per migliorare nel seguente lavoro, con mezzi migliori e consapevolezze diverse ma c’è ancora molto da fare e sono cosciente (e contento) del fatto che i tre film fatti sono solo un riscaldamento, un rodaggio, un’anticamera.»
In che cosa credi risieda il tuo x-factor?
«Ammesso che l’abbia, non posso dirlo io.»
Che cos’è il talento secondo te?
«Più che una perfezione tecnica o accademica credo consista nell’avere un qualcosa di innato che rende nuovo e unico ciò che racconti e il prodotto per cui operi, che sia un film, un libro, una scultura.»
Lo studio quanto può aiutare per farlo emergere?
«È la cosa più importante. Ti offre gli strumenti per capire se hai un talento, gli strumenti per coltivarlo, alimentarlo, disciplinarlo, per capire quando castigarlo e quando liberarlo.»
E i maestri di vita che hai incontrato nel tuo cammino?
«Sono persone che non appartengono al mondo del cinema. Oltre a tante figure importanti della mia infanzia e adolescenza sono anche persone che a volte casualmente (anche se sono convinto fortemente che nulla è casuale) ho incontrato nei miei viaggi, che hanno lasciato delle tracce indelebili a livello umano. Le stesse che hanno una valenza fondamentale nel mio fare cinema.»
A chi ti senti di dire grazie e perché?
«Sento di dire grazie a tutti coloro che fino ad oggi mi hanno dato fiducia sul lavoro, in modalità differenti. Coloro che hanno condiviso i miei progetti e hanno creduto in essi. Mi sento di dire grazie soprattutto a cose e persone che in forme diverse hanno ostacolato il mio lavoro, quelle sono state e saranno, insieme alla necessità di espressione, lo stimolo maggiore per andare avanti e perseguire i miei obiettivi.»