La Cooperativa di Teatro C.A.T. ogni anno sorprende sempre con il suo cartellone teatrale, dodici anni di successo presso la Sala Teatrale “Ciro Madonna” a Castellammare di Stabia, con grandi ospiti come Ernesto Lama, Piero Pepe, Gea Martire, Niko Mucci, Lalla Esposito.
Grande rischio, quest’anno, per la compagnia del C.A.T. per la prima nazionale, il 23 novembre, di una delle commedie più belle e rappresentative di Annibale Ruccello, “Ferdinando”. Poi andranno in scena anche con le commedie “I Casi sono Due” di Armando Curcio e “Via Toledo di Notte” di Raffaele Viviani. Due grande novità quest’anno, in barba alle competizioni e gelosie, il C.A.T. organizzerà alcuni eventi in collaborazione con l’associazione SubEventi nell’ambito della rassegna Le theatre en hiver.
Ed ospiterà due eventi del Teatro Stabia Feastival di Castellammare di Stabia, il 14-15-16- novembre 2014 porterà in scena lo spettacolo di Luca Nasuto “Barbie Vesuviana” e il 22 novembre il convegno su Annibale Ruccello con la partecipazione di Carlo De Nonno e dei professori dell’Università di Napoli Federico II, Pasquale Sabbatino e Giuseppina Scognamiglio. Non mancherà, infine, il music C.A.T., una serie di spettacoli musicali, tra cui i Sounds Great, gruppo emergente stabiese, in scena al C.A.T. il 28 dicembre e il 12 aprile 2015.
Abbiamo intervistato Sergio Celoro, che insieme alla sorella Marcella gestisce il teatro con grande umiltà e professionismo.
Com’è caduta la scelta su Ferdinando?
«Dopo aver letto tutta la drammaturgia di Ruccello, Ferdinando, mi ha colpito in maniera particolare, anche se da ragazzino avevo visto lo spettacolo della signora Danieli, che comunque resta Ferdinando. Per curarne la regia ho scelto di non rivederlo, per evitare di essere deviato, un regista o un artista che vuole chiamarsi tale, deve provare a staccarsi da un concetto di base già fatto, studiato seppure al meglio possibile, Ferdinando è estremamente attuale, ma non decontestualizzabile. Si vive alla fine dell’Ottocento, dopo sette anni della caduta del regno di Napoli, e, mi piaceva molto provare a modernizzare la resa teatrale del rapporto interpersonale dei personaggi con la Chiesa cattolica, anche per le situazioni più peccaminose, allontanandomi dagli anni ’80, dove un certo tipo di nudità e di morbosità era più artisticamente apprezzata.
Vorrei portare avanti, attraverso il mio studio del testo, quello che significa la versione più drammaturgica del testo, evitando di cadere nella faciloneria, all’epoca, alcuni termini o gesti volgari avevano un altro impatto, che nel 2015 non hanno più.
Cerco di rendere la frase importante per il pubblico, evitando che la gente possa soffermarsi troppo sull’evento parolaccia o nudità, e portarla più su un momento drammaturgico, voglio far capire cosa dice in realtà, quante cose profonde quell’antropologo aveva da dire.»
Pochi o nessuno ha avuto l’ardire di metterlo in scena, avete comunque preso accordo con la signora Isa Danieli?
«Abbiamo parlato con il signor De Nonno, al quale, scrissi una lettera accorata un anno fa, parlando della cooperativa di teatro C.A.T. nata nello stesso periodo de Il Carro con Ruccello, a Castellammare nel ’68. Vivevano due modi diversi di fare teatro, il C.A.T. tendeva a riscoprire la tradizione, mentre Annibale si avvicinava più al teatro di avanguardia, due realtà di successo che camminavano parallele, non si incrociavano mai, per i due modi diversi di fare teatro.
Nella mia lettera al dottore De Nonno chiesi di metter in scena Ferdinando e, farla a Castellammare con il gruppo di giovani del C.A.T. mi dava la possibilità di incrociare, dopo quaranta anni, queste due realtà. Creare un rapporto di intesa con la famiglia di Annibale, e se negli anni ’70 o ’80, si amavano o odiavano, non è un problema che riguarda oggi.»
Inviterete anche la signora Danieli?
«Ci proverò, sicuramente sarà molto impegnata, ma ho anche paura per la tensione che potrebbe provocare agli attori la sua presenza in teatro.»
E chi sono gli attori?
«Marcella Celoro, mia sorella, sarà la baronessa Clotilde. Agostino Di Somma interpreterà Don Catellino, attore professionista che ha già dato prova in passato di sapersi calare in personaggi più complicati. Gesualda sarà interpretata da una ragazza di 21 anni, Benedetta Todisco, giovanissima, sarà uno scontro frontale, però lei ha già fatto con me Piscature di Viviani e, fa teatro da quando aveva otto anni, quindi ha molte esperienza sul palcoscenico. Ferdinando, invece, è interpretato da un altro attor molto giovane, 21 anni, Dario De Simone, nato sotto la scuola di teatro Italo Celoro, che negli anni ha fatto forse più spettacoli di molti professionisti.»
La vostra compagnia non si può definire amatoriale…
«Assolutamente no, io, ad esempio, appartengo a quei gruppi di attori che non avrebbe potuto fare altro nella vita, uno di quelli che può dire, con cognizione di causa, di essere nato sulle sedie dei palcoscenici, ho dormito sogni fantastici quando mio padre girava i teatri italiani, con gli spettacoli di Armando Pugliese, di Antonio Calenda, Nello Mascia, etc. Mio padre faceva un lavoro che mi ha sempre affascinato da ragazzino, ho provato nel periodo adolescenziale ad allontanarmi, ma poi sono stato richiamato sul palcoscenico e non mi sono più allontanato.»
In questo cartellone avete tre o quattro spettacoli, come ci riuscite, non è stancante, stressante?
«È faticosissimo, noi gestiamo anche il foyer per concerti, non solo sfruttiamo la sala teatrale, ci occupiamo anche della manutenzione, infatti, io sono diventato attore, imbianchino, falegname, ci si arrangia.. Poi gestiamo la Scuola di Teatro Italo Celoro ormai da dodici anni. Comunque, quando mettiamo in scena spettacoli nuovi, da quando è scomparso mio padre, nel 2010, ho preso le redini della regia e della presidenza del gruppo, e, oramai ho imparato a odorare il pubblico, a capire cosa cercano, per un periodo, infatti, ho scelto di fare delle commedie straniere in lingua italiana come Kesserling, Neil Simon, Francis Veber, per proporre al pubblico qualcosa di diverso dai soliti ottimi autori napoletani.»
Hai mai pensato di scrivere qualche soggetto per il teatro?
«Sì, ma ho molto rispetto per il pubblico, prima di pensare di mettere in scena qualcosa di mio, che ho in cantiere da un po’, cancello, scrivo, ricancello, poi ne incomincio un’altra, poi ritorno su quella vecchia, voglio essere sicuro che sia un prodotto di qualità, non ho nessuna intenzione di propinare al pubblico qualcosa di mediocre.»
Sei molto severo con te stesso…
«È vero, ma in un mondo, come quello dell’arte, dove non esistono diplomi reali, neanche l’accademia di arte drammatica può dire che tu sei un grande artista, e, dove non esistono queste certificazioni, bisogna che si creino e si circondi di persone serie, anche severe con se stesse e di proporre al pubblico qualcosa solo quando sono sicuri di poterlo fare.»