Lo scrittore e giornalista musicale Ezio Guaitamacchi, nel suo nuovo libro dal titolo “Amore, morte & rock ‘n’ roll- Le ultime ore di 50 rockstar: retroscena e misteri”, ripercorre gli avvenimenti accaduti gli ultimi giorni di vita di 50 leggende del rock, svelandone i dubbi e i misteri. Il libro, disponibile in libreria e negli storie digitali, arricchito dalle prefazioni di Enrico Ruggeri e di Pamela Des Barres, contiene aneddoti, immagini d’archivio, box di approfondimento, citazioni e canzoni. In occasione dell’uscita del libro abbiamo intervistato il giornalista Ezio Guaitamacchi.
“Amore, morte & rock ‘n’ roll” rivive gli ultimi giorni di vita di 50 rockstar. Cosa rappresenta per lei questo nuovo libro frutto di approfondite ricerche?
«È il risultato di anni di lavoro nella musica, caratterizzati da incontri, conversazioni, confessioni, rivelazioni, ricerche sui libri e attraverso documentari. Queste fonti mi hanno portato a scrivere le ultime ore di 50 protagonisti straordinari della scena rock, che la morte li ha resi umani. Divinità che nel momento finale della loro vita mostrano di avere il nostro identico destino. Per alcune di queste star, l’assenza di amore e la solitudine, si sono rivelate complici della reale cause di morte, come per Amy Winehouse. Dietro ogni storia che narro, c’è una visione della morte non soltanto drammatica, misteriosa, assurda, violenta, ma anche una visione poetica ed artistica, come quella di Leonard Cohen e David Bowie».
David Bowie è morto per un cancro al fegato. Nel corso della malattia la passione per la musica lo ha spinto comunque a realizzare il suo ultimo disco Blackstar. Il Duca Bianco ha lasciato ai fan il suo testamento artistico e musicale…
«Nella storia della musica David Bowie ha tracciato un segno indelebile. Attraverso i suoi album raccontò le varie fasi della sua vita. L’uomo delle stelle intitolò la sua ultima opera Blackstar, una stella nera, come segno di premonizione del suo finale di vita. Nel mio libro riporto il colloquio tra il produttore Tony Visconti e David Bowie, pochi giorni prima della morte. Bowie informò il suo produttore che avrebbe a breve registrato cinque nuove canzoni e Visconti, a quel punto, rincuorato per il miglioramento delle condizioni di salute, gli rammentò della promozione del disco, Blackstar. Bowie lo tranquillizzò svelandogli di aver in mente la miglior mossa di marketing. Dopo la morte avvenuta, pochi giorni dopo, il disco schizzò in vetta alle classifiche. Ad oggi Blackstar è l’album più venduto dei suoi ultimi 20 anni di discografia».
Anche Freddie Mercury ha lavorato fino agli ultimi mesi di vita. Ricorderemo il suo amore per la musica, l’affetto verso i suoi amici e il suo sorriso. Ci sono altri aneddoti singolari legati al frontman dei Queen?
«Freddie viveva con lucidità la sua malattia, l’Aids. Anche se nell’ultimo video, il suo volto appare scavato, lui si era concentrato nel curare ogni aspetto artistico. Tra le altre cose che amava, aggiungerei i suoi gatti e l’arte. Peter Freestone, soprannominato “Phoebe”, con il quale ho avuto diverse conversazioni, mi ha narrato che pochi giorni prima di morire, Freddie espresse il desiderio di acquistare un quadro. Ma la malattia lo aveva così provato da non permettergli di salire le scale, per raggiungere la sala dove era la tela. Così, Phoebe lo prese sulle spalle portandolo in sala. Quel sorriso di felicità sul volto di Freddie gli resterà impresso per sempre. Freddie, infatti, aveva sempre cercato di pensare poco alla sua malattia, dedicando tutto se stesso alla musica, per lasciare agli altri la sua eredità».
La morte del leader dei Nirvana, Kurt Cobain, è stata considerata un finto suicidio, una morte drammatica con due punti oscuri, la dose eccessiva di eroina e il rapporto turbolento con la compagna. In tanti hanno pensato ad un omicidio. Qual è stato il risultato delle sue ricerche?
«Ho parlato a lungo con Tom Grant, l’investigatore privato che la moglie Courtney Love ingaggiò quando Kurt Cobain fuggì, dopo solo due giorni di permanenza, dal centro di recupero. Di lui si persero le tracce. Grant si occupò del caso fino a quando il corpo di Kurt Cobain venne rinvenuto a Seattle. In quell’aprile del 1994, Tom Grant trovò degli elementi, tra cui l’eccessiva dose di eroina, che non lo convinsero e da quei dubbi e misteri nacque la tesi complottistica. Per quanto riguarda, l’eccessiva dose di eroina, è un elemento che ho provato a chiarire, parlando personalmente con uno degli spacciatori di Cobain e di altre star, di quel periodo a Seattle. Anche lui un tossicodipendente mi ha chiarito che è assolutamente soggettiva la dose di intolleranza alle sostanze, poiché gli effetti variano da un soggetto ad un altro, e mi ha rivelato, di aver ingerito anche più sostanze di Kurt, ma lui era ancora vivo. Per cui, uno dei punti sui quali l’investigatore fondò la sua ipotesi di complotto, potrebbe già essere messa in discussione. Credo che forse, un po’ troppo frettolosamente, la polizia di Seattle abbia chiuso il caso archiviandolo come suicidio, senza più riaprire l’inchiesta. Jack Endino, il primo produttore dei Nirvana, padrino della scena grunge, mi ha rivelato che lui era amico di Kurt e frequentava la coppia e fino a prova contraria, Kurt era innamoratissimo di lei e della bimba, e il fatto che lui avesse chiesto il divorzio, non vuol dire che lei fosse un’assassina. Inoltre, mi ha chiarito un altro punto, Kurt non odiava il successo, quindi, per tal motivo si sarebbe suicidato, ma faceva solo fatica a gestirlo, non trovando il giusto equilibrio tra successo e vita privata».
La storia di Amy Winehouse caratterizzata da amori burrascosi e dall’abuso di droghe ha avuto un tragico epilogo, Amy muore a soli 27 anni.
«La mia opinione è basata su alcuni fatti, tra questi il rapporto con la sua famiglia, in particolare con il padre. Il fatto di aver vissuto un’infanzia non felice, la rese una persona fragile, ipersensibile, con la sfortuna di aver incontrato sulla sua strada personaggi, sul fronte sentimentale, davvero nefasti. Cercava così di attenuare la sua solitudine sentimentale, la totale assenza di amore con l’alcol, l’eroina e le altre sostanze. Ma certe dosi prese con continuità diventano letali».
Anche la morte di Michael Jackson resterà avvolta nel mistero. Cosa pensa a riguardo?
«Anche Michael trascorse un’infanzia difficile. Il padre prevaricatore, trasferì nei figli la sua passione per la musica. Michael a 7 anni aveva un talento assoluto ed insieme ai suoi fratelli era una superstar, poi negli anni ’80 divenne l’artista più popolare del mondo, con una vita surreale. Le ansie, le inquietudini, i dubbi e la sua fragilità erano conseguenza delle carenze affettive. Prima dell’ultimo tour “This Is It”, Michael per rimediare all’insonnia, iniziò ad usare un anestetico, utilizzato in sala operatoria, prima di un intervento, farmaco prescritto dal cardiologo Conrad Murray. Il dottor Murray aveva firmato un contratto per una cifra iperbolica e in cambio gli organizzatori del tour gli avevano chiesto di seguire Michael, affinché fosse in perfetta forma per le prove. Il coreografo dello show fece notare ad uno degli organizzatori che le condizioni di Michael stavano peggiorando, ma il tour era più importante della sua vita».
Su quali casi aleggiano ancora dubbi?
«Alcuni resteranno dei misteri, come le due morti recenti, quella del dj svedese, Avicii e del rapper americano, XXX Tentacion. Due inchieste fatte male che celano qualcosa di poco chiaro. Il caso del rapper presenta legami con il mondo della malavita, mentre per quanto riguarda la morte del giovane dj svedese avvenuta in Medio Oriente, nel Sultanato dell’Oman, il caso viene ufficializzato come suicidio e né la famiglia né gli amici, rilasciano alcuna dichiarazione».
Quale racconto invece l’ha coinvolta a livello emotivo?
«Ci sono storie toccanti che mi hanno commosso come quella di Leonard Cohen, Lou Reed, David Bowie. Jimi Hendrix, invece, resterà la mia rockstar preferita, quella che ascoltavo in gioventù, che avrei voluto incontrare, che vorrei rivedere in vita, perché ci ha privato della sua musica. Hendrix ha vissuto solo 4 anni di carriera, pubblicando tre dischi e un live ed avrebbe potuto dare ancora tanto alla musica».