Trait D’Union (Level49)è il nuovo lavoro discografico dell’eclettico sassofonista e compositore Alessandro Bertozzi. Anticipato dall’uscita del singolo “Giulia”, l’album nasce dal viscerale amore del sassofonista verso l’Africa, con l’intento di far emergere uno spirito aggregante, soprattutto grazie alla commistione di blues, jazz e funk, generi musicali da sempre amati profondamente dall’artista. La tracklist del CD è formata da otto brani originali, figli della fervida creatività compositiva di Bertozzi, che compongono un puzzle timbrico, melodico, armonico e ritmico che si tinge di inebrianti ed esotiche colorazioni world music e di un mood marcatamente afroamericano.
Ad accompagnare il compositore emiliano in questo viaggio musicale chiamato Trait D’Union, troviamo: Pap Yeri Samb (voce), Andrea Pollione (tastiere), Alex Carreri (basso), Maxx Furian (batteria) ed Ernesto da Silva (percussioni).
La tua carriera artistica è iniziata quando avevi 8 anni. Com’è nata la tua passione per la musica?
«È nata ascoltando la banda del paese, volevo suonarci anche io, quindi mi sono arrangiato ad imparare da solo a suonare».
Hai iniziato a suonare prima il clarinetto e poi sei passato al sax, strumento che ancora oggi ti accompagna nel tuo percorso artistico. Cosa ti affascina di questo strumento?
«Le vibrazioni che ti dà e la personalizzazione del suono. Per capire chi è un sassofonista è sufficiente ascoltare poche note».
“Trait D’Union” è il tuo ultimo lavoro discografico. Ce ne parli?
«È un album nato istintivamente per provare a fare qualcosa per combattere questo clima di odio, di discriminazione, di separazione di culture che in questo momento pervade la società. Anche i testi originali in lingua Wolof parlano di pace, di unione. Cosa di cui c’è sempre più bisogno».
Cosa rappresenta per te questo album?
«Un bel traguardo e una bella soddisfazione perché sono riuscito a fare un Cd molto istintivo, ripreso dal vivo in studio. E, cosa rara per me, mi piace. Di solito sono molto critico verso i miei lavori, stavolta no, è venuto proprio come volevo. E spero di riuscire a trasmettere questa spontaneità a chi l’ascolta».
Sono otto le tracce che compongono il disco. Come e quando sono nate?
«Sono 8 idee che mi sono venute molto in fretta, sono cose semplici che volevo esprimere e non ho fatto fatica. Poi ovviamente ci si è lavorato su per vari mesi fino ad ottenere la sonorità adatta ma è stato un lavoro molto naturale».
Il disco nasce dal viscerale amore che provi verso l’Africa, continente dal quale lui trai costantemente ispirazione per i tuoi suoni, colori e ritmi tribali. Come è nata la tua passione per i suoni di questa terra?
«È una cosa che provo fin da piccolo, quando sentivo queste percussioni tribali mi davano un emozione fortissima. Ma anche i suoni vocali lunghi, spaziosi in lingua africana trasmettono un’emozione particolare che in altre lingue non danno, secondo me».
Questo 2020 è un anno difficile per tutti. Anche per voi artisti non è semplice stare lontano dai palchi e dalle persone che vi seguono e ascoltano la vostra musica. Tu in che modo stai affrontando questa mancanza e queste difficoltà? Cosa ti aspetti da futuro?
«In effetti stare senza suonare per un musicista è un po’come morire, perché suonare in casa per sé stessi è molto triste. Un musicista deve avere un pubblico a cui trasmettere emozioni e sopratutto per poter cogliere le sensazioni, di questo pubblico. Quindi speriamo di riprendere a suonare presto. Per questo Cd avevamo già in programma la presentazione in 5 teatri ma purtroppo è saltato tutto. Ma siccome sono ottimista, credo che questo periodo stia unendo i musicisti di qualsiasi genere perché il problema è uguale per tutti, che tu suoni musica classica o jazz o musica latina la sostanza non cambia. E credo che quando si riprenderà la vita normale la gente avrà molto bisogno di musica live».