Ad un anno dalla morte di Andrea Camilleri, la storica Casa Editrice Sellerio di Palermo, ha pubblicato l’ultimo romanzo che vede protagonista il commissario Salvo Montalbano dal titolo Riccardino, pag.292, 15 euro, Collana La memoria. Per dovere di cronaca vi segnaliamo anche l’altra versione in un’edizione speciale in brossura fuori Collana di 590 pagine,20 euro che mette in evidenza le differenze linguistiche delle due riscritture. Infatti il romanzo, ideato nel 2004 e terminato nel 2005, è stato rivisitato dall’autore nel 2016, rinnovato nella lingua vigatese ma immutato nella trama perché è risaputo che una lingua si evolve e si trasforma con l’uso.
Il titolo già la dice lunga sulle vere intenzioni dell’Autore. Questa volta Andrea Camilleri non fa ricorso a nessun titolo evocativo bensì usa il diminutivo di un nome proprio di persona per babbiare il lettore e dare un senso di leggerezza e di ironia al suo scritto che anche questa volta viene portato a termine con la consueta e provata maestria.
Nelle note dell’Editore si legge: «Il lettore vedrà quanto combattuto, dialettico e pieno di ironia fosse il rapporto tra l’Autore e il suo Personaggio, relazione che in questo romanzo viene sviscerata in tutte le sue manifestazioni: tra personaggio letterario e televisivo e persino tra personaggio e attore». (pag.11)
Infatti ciò che colpisce nel romanzo non è tanto il racconto imperniato sull’omicidio di Riccardino, Riccardo Lopresti, stimato direttore della filiale vigatese della Banca Regionale ed i rapporti che lo legano a tre insospettabili amici, quanto le frequenti incursioni di Camilleri che dialoga con il suo personaggio attraverso telefonate e fax, dispensando consigli e proponendo soluzioni al caso quanto meno folli e stravaganti. Si direbbe che l’Autore voglia per così dire entrare nel cervello del suo commissario e studiarne come un entomologo le funzioni di sinapsi che porteranno gradatamente alla soluzione dell’intricata vicenda. E questa volta non c’è quasi nessuno che può aiutare Montalbano, o quanto meno alleggerirgli il peso delle indagini e a districarne la matassa fatta di connivenza tra mafia e politica, frequenti interferenze di uomini di Chiesa, incomprensioni al limite del surreale con i superiori. Egli può contare soltanto sul fedele Fazio che, come di consuetudine, gli sciorina i dati anagrafici delle persone coinvolte e l’ossequioso Catarella che ancora non ha imparato ad aprire la porta del suo studio senza far rumore.
Livia è lontana ed addirittura progetta un viaggio in Sudafrica o in Brasile in sua compagnia e al solo pensiero la fronte del commissario si imperla di sudore. Mimì Augello, il femminaro per eccellenza è assente per motivi di famiglia e l’insostituibile Adelina, insieme al ristoratore Enzo, è presente soltanto attraverso i sapori ed il profumo dei suoi piatti: la pasta ‘ncasciata, la caponatina, gli arancini, le triglie arrostite, e ancora: il provolone ragusano, i cannoli al pistacchio contesi con il dottor Pasquano…
Montalbano in questo romanzo sente in modo prepotente le pressioni dell’Autore e del suo sosia televisivo. Spesso è «‘nivuro e sintiva che la so vocca sapiva di burro arranciduto e pisci putrefatto…forse è chisto il sapore della sconfitta, pinsò…» (pag.284). E Camilleri incalza fin dalle prime pagine: «Mentre che per doviri di ufficio reciti un certo personaggio, per confunneri la testa di chi stai ‘nterroganno, tu, nello stisso tempo, ti osservi, ti consideri, ti giudichi, ti apprezzi o no. Sei contemporaneamente attori e spettatori di quello che stai facenno. E quindi, se hai recitato bene, l’autro Montalbano ti fa i complimenti…Senza volerlo, hai principiato una gara tra te e l’attori, ecco tutto». (pag.49) Ma le differenze tra il vero commissario e l’attore sono subito chiarite dall’Autore in un crescendo di emozioni e riflessioni che pervadono tutto il romanzo. Camilleri, che tra l’altro è stato anche insegnante di Luca Zingaretti all’Accademia Silvio D’Amico, il