Si chiama TZN Greatest Hits ed è la prima raccolta ufficiale di Tiziano Ferro, l’eroe nazionale del nuovo pop cantautoriale a 15 anni circa dal suo esordio. Sugli inizi di Ferro ci sono sempre dibattiti, perché il cantante di Latina è uno di quelli che la gavetta l’ha fatta sul serio e quindi la sua voce circolava nell’ambiente ben prima dell’esplosione di Xdono del 2011. «Infatti con questa raccolta che ho rimandato dal 2011 – dice presentando il disco a Milano – ho voluto stabilire un ponte tra gli anni 1997 e 2001, cioè quelli che sono stati formativi per me e mi hanno reso quello che sono stato dopo. In un tempo molto diverso da oggi, il mio mestiere sembrava quasi diverso da quello che è oggi. Sicuramente questa è una linea di confine tra come ho inteso la musica fino a questo momento e come la farò da adesso in poi».
Tiziano descrive i 4 cd della edizione deluxe (ma c’è anche la standard da due capitoli e un mega box fan edition oltre ai 4 lp in vinile) come «la scatola dei ricordi perché ho tirato fuori cose che raccontano la mia storia e dentro c’è un mondo, la mia culla del tempo. Detto questo, fare un best of è stato sempre un mio sogno e quindi lo pubblico con molto coinvolgimento. Ho pensato di metterci dentro quello che non si era mai sentito e tutti i singoli che il pubblico conosce».
Partendo dal vero inizio della sua carriera (Accademia Sanremo, 1997) Tiziano ripercorre i momenti in cui faceva da vocalist al gruppo hip hop torinese Atipici fino ad arrivare ai Sottotono, che sono quelli che definisce «i rapper agli albori che hanno sfondato in Italia barriere impensabili per il nostro linguaggio». I tardi anni 90 erano quelli del contratto famoso con Mara Maionchi (“che è durato senza scherzi fino a due anni fa”) e della lenta fase di crescita della personalità (anche artistica) del giovane talentuoso Ferro. «Erano momenti in cui ci si poteva permettere questo, la comunicazione era diversa, e ci ripenso spesso quando riascolto i demo con i miei amici. Mi sembra di essere di un’altra epoca, figuriamoci cosa deve sembrare per quelli che c’erano prima di me».
Ferro, che confessa di avere un sacco di idoli che non ci sono più (da Amy Winehouse a Battisti e Gabriella Ferri) ha sempre un piede ben saldo nel terreno da cui è arrivato, cioè il rap: «Molto difficile oggi capire cos’era quel mondo, quando i primi esponenti del genere vendevano davvero tanto se paragonato a oggi. Mi sa che sta diventando il rifugio dei pigri perché è molto più semplice fare rap oggi. E comunque di nuovi Fabri Fibra ancora non ne ho sentiti».
Nel disco, tra gli 8 inediti, c’è anche una canzone, Lo Stadio, che è nato quasi come un pezzo scaramantico per sdrammatizzare una paura tipica degli artisti del suo calibro. E il testo ovviamente nasconde una genesi curiosa: «Quando nel 2012 la mia agenzia di concerti mi ha chiesto di fare per la prima volta l’Olimpico ho pensato fossero pazzi. Poi con la mia incoscienza da debuttante e l’enorme calore del pubblico tutto è andato bene. quando quest’anno si è deciso che avrei fatto solo concerti negli stadi per questa raccolta (l’estate prossima, anche il mitico San Siro a Milano a luglio) prima ho detto di no, per non dargliela vinta. Poi ho iniziato ad osservare i miei colleghi. E mi sono stupito di come lo stadio possa creare comportamenti diversi. Ero con Ligabue al concerto per il terremoto dell’Emilia e mi rendevo conto che per lui era normale essere concentrato per 4 minuti di canzone davanti a tutta quella gente. Ma come fa? Poi c’era Jovanotti, che lo affrontava in maniera totalmente diversa, scatenandosi. E io pensavo: ancora peggio, non sarà mai così per me. Ma dopo la crisi è arrivata la pace e ho acquistato sicurezza».
A sorpresa, però, il cantautore italiano più celebrato degli ultimi anni, dice ancora di avere insicurezze, anche professionali: «ogni giorno mi chiedo se quello che faccio è la cosa giusta, se questo è il mestiere che voglio. E in definitiva è sintomatico del modo in cui io vivo la musica, che è sempre un modo molto disincantato ed entusiasta. Le cose più belle che mi sono capitate negli ultimi anni sono le esperienze da produttore, con Baby K e Alessandra Amoroso perché sono riuscito a gestirle come volevo, mettendoci tutta la passione e l’unione dall’inizio alla fine con queste artiste. Mi riascoltavo i brani 100 volte, volevo che loro fossero con me in studio sempre. Sono dischi che ho realizzato alla vecchia maniera, perché è così che sono cresciuto ed è così che ho imparato».