«Erika Fatland ha la stoffa dei migliori scrittori di viaggio. Colta, intelligente ed audace, vaga per deserti, villaggi, metropoli e montagne e ci consegna un reportage che è un gioiello: di storia, geografia, geologia, cultura e politica». Le Figaro Magazine
Il libro che desideriamo presentarvi oggi è stato scritto nel 2014 da una scrittrice ed antropologa norvegese di fama internazionale: Erika Fatland. Spinta dalla curiosità di ricercatrice ha effettuato un viaggio nelle cinque repubbliche dell’Asia centrale nate dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e precisamente: Turkmenistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uberkistan.
Era dal 1992, anno di pubblicazione del libro Buonanotte signor Lenin del grande Tiziano Terzani che non si parlava più di questi Paesi dalle catene montuose più alte del mondo ai deserti, dalle caratteristiche case circolari dette iurte alle città dai nomi magici attraversate da ricchi mercanti e predoni sulla Via della Seta.
Dopo quasi trent’anni di autonomia i cinque Paesi sono ancora alla ricerca della loro identità, sfruttati dalla Russia per i loro giacimenti di petrolio e di gas e troppo vicini alla super potente Cina o a Paesi turbolenti quali l’Iran e l’Afghanistan. Tuttavia essi sono accomunati da grandi contrasti: ricchezza e povertà, ville faraoniche e monumenti in marmo di Carrara per i nuovi dittatori accanto alle iurte della steppa, la passione per i cavalli, i cammelli, i tappeti multicolori ed i bazar, il ritorno all’Islam e ai precetti del Corano, il lento ma inesorabile cambiamento degli usi e delle tradizioni millenarie già voluto da Stalin e dai suoi successori.
Soviestan è capace di raccontare tutto questo con uno stile di scrittura accattivante fornendo informazioni inedite per il lettore medio che nelle sue reminiscenze scolastiche ha sentito parlare forse e solo della tribù nomade dei kirghisi se ha avuto l’opportunità di leggere il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi.
In questo grande reportage, Erika Fatland riesce ad unire un profondo ed appassionato lavoro di ricerca e di analisi geopolitica al gusto dell’avventura con una curiosità da viaggiatrice esperta. Visitando i luoghi e ponendo domande alle persone che incontra la scrittrice ci restituisce informazioni, pensieri ed emozioni sul suo viaggio che diventa anche il nostro. Molto suggestive le pagine che raccontano la caccia con l’aquila reale o quelle che descrivono una partita di polo che ha come premio finale la carcassa di una capra o quelle dedicate ad una fanciulla turkmena che compone poesie sul deserto del Karakum, degne di un Premio Nobel per la letteratura.
Al termine del libro letto con avidità, siamo pronti per partire perché Erika Fatland ci ha incuriositi ed affascinati. Desideriamo anche noi sorbire latte acido di cammello e sorseggiare tè verde adagiati su stuoie di lana fatte a mano, dai colori accesi ed accarezzare bambine dalle lunghe trecce …
Il libro, edito da Marsilio, pag. 530, traduzione di Eva Kampmann, ha al suo interno diverse cartine geografiche in modo che il lettore può orientarsi con facilità.
Come nostra abitudine, ormai consolidata, trascriviamo un brano tratto dall’introduzione, intitolata La Porta dell’inferno: “Mi sono persa. Le fiamme del cratere hanno fatto sparire le stelle e prosciugato tutte le ombre della luce. Le lingue di fuoco sibilano: sono migliaia. Alcune sono grandi come cavalli, altre piccole come gocce d’acqua. Un mite calore mi sfiora le guance…Intorno al cratere il deserto si estende in tutte le direzioni come un malinconico tappeto patchwork. Per un attimo mi sento come se fossi l’unico essere umano sulla Terra. E questo pensiero ha uno strano effetto incoraggiante”. (pag 15-17).