Alberto Nemo, musicista, cantante e musicoterapeuta, nato a Rovigo nel 1988, vincitore di Musicultura 2018, dopo l’esperienza di The Voice of Italy e l’album Giostre, propone agli ascoltatori un nuovo singolo dal titolo Io Dio No che vuole essere un omaggio in musica al poeta Dino Campana.
Artista musicalmente preparato e dotato di una voce particolarissima inizia il suo percorso artistico nel 2008, cantando durante le funzioni religiose. Dal 2011 al 2015 viaggia in tutta Europa confrontandosi con numerosi musicisti ed artisti di strada. Nel 2017 il suo primo album dal titolo 6×0 (Vol.1), registrato interamente in live durante un concerto nel salotto letterario della Comune artistica Dimora di Rovigo. Fanno seguito 6×0 (Vol.2) realizzato con la tecnica del tape reverse, Futuro Semplice, Dante vs Nemo con letture dell’attore Marino Bellini, Tidur e infine Giostre la cui copertina è disegnata dall’artista Mauro Mazziero e prodotto da Mayday.
Sempre alla ricerca di nuove sonorità potremmo definire Alberto Nemo, un cantautore sperimentale raffinato che riesce a coniugare le parole di alcuni grandi della letteratura con la sua musica e la sua voce. Per saperne di più lo abbiamo contattato e siamo riusciti a vincere la sua ritrosia a concedere interviste.
Il grande pubblico ti conosce per la partecipazione a The Voice of Italy con una particolare rilettura del brano di Fabrizio De Andrè Amore che vieni, amore che vai. Vieni scartato ma rimani impresso nella memoria per il tuo particolare modo di cantare, per quell’aura di oscurità e di mistero, per il tuo modo di vestire che privilegia il colore nero. Ci vuoi parlare di questa esperienza e delle ragioni che, secondo te, non ti hanno permesso di arrivare in finale?
«Scartato? Tu mangi le caramelle incartate? È stata l’occasione di raggiungere con un mio pezzo (tutt’altro che talent) molte persone che mi hanno visto e mi seguono ancora. Un ottimo altoparlante, ecco tutto. Le formule dei talent hanno lo scopo di trovare sempre nuovi personaggi da proporre. La mia partecipazione ha avuto uno svolgimento particolare, ho voluto far ascoltare il mio modo di nemizzzare la canzone di De Andrè senza preoccuparmi dei risultati. Così avviene costantemente nel mio lavoro».
Hai iniziato la tua carriera cantando ai funerali, nelle chiese e svolgendo l’attività di musicoterapeuta. In che modo queste esperienze hanno influenzato la tua musica?
«La musica che faccio somiglia alla terra in cui sono nato, ampia, essenziale e senza orpelli. Questa è la mia estetica ed etica di vita. Sono molto attento a tutto ciò che pubblico e non lascio niente al caso. Nonostante questo non rinuncio al flusso di coscienza, a farmi trasportare dalla corrente del suono e dalla voce. Non credo che quello che faccio sia difficile o da nicchia. L’acustica delle chiese è congeniale al mio canto e alla mia musica».
Nelle rare interviste che concedi ti sei definito un artista post-pop. Ci spieghi meglio questa definizione? Che tipo di ricerca musicale porti avanti?
«Il canto si nutre di emozioni terrene ma poi le sublima e le espande. Tutti i miei album sono registrati dal vivo e spesso sono documentati da video. La presa diretta è fondamentale nel mio lavoro, c’è un’energia che altrimenti si perderebbe».
Quali esperienze hanno determinato il tuo stile musicale? Quando componi qual è la tua fonte di ispirazione?
«È un ritorno alle origini. Nella musica trovano naturale espressione tutti i sentimenti e le sensazioni dell’uomo e in più diventa anche la migliore espressione di ciò che è indicibile».
Ci vuoi parlare in modo dettagliato di questo tuo ultimo lavoro Io Dio No ispirato al poeta Dino Campana, immaginiamo in particolare i Canti orfici?
«”Io”-dissolvenza-“Dio”-dissolvenza-“No”. Daccapo e con un diverso ordine. Ecco la sceneggiatura di questo brano in cui i tre protagonisti si danno il cambio sulla scena. Sono tre grandi mattatori in grado di sostenere ciascuno tutto lo spettacolo da solo ma sono costretti a condividere lo stesso il palco. Così avviene che ognuno di loro cerca di catturare l’attenzione dello spettatore che si trova speso confuso e sceglie di seguire ora l’uno, ora l’altro. Tu chi ascolti? Nel Manifesto della Musica essenziale ho scritto: “La voce come strumento primario. La voce umana è la migliore strumentazione di cui disponiamo” È la voce che crea lo spazio, il resto serve ad arredarlo. Le Barche amorrate di Campana hanno cantato subito dentro di me. In altre occasioni ho messo in musica testi poetici, recentemente ho rivisitato L’infinito di Giacomo Leopardi. Il Lamento volubil delle Vele, che né l’onda né l’ultimo schianto riesce a placare, ha lasciato in me un senso di inestinguibile desiderio di vita che, nonostante tutto, prende il largo e confina ben oltre l’orizzonte».
Non è la prima volta che coniughi musica e letteratura. Ricordiamo il tuo album Dante vs Nemo con allegato un audiolibro con letture dalla Divina Commedia. Pensi di esserci riuscito essendo un obiettivo ambizioso?
«Nei lavori attuali utilizzo sempre testi di poeti contemporanei, spesso li cambio per ottenere il risultato che desidero. Non ho timore del testo e della sua storia, mi prendo anche delle libertà, lo considero materia viva che vuole essere rimessa in gioco. L’approccio accademico e reverenziale nei confronti dei poeti è importante dal punto di vista storico e filologico, ma l’arte è vita e solo trattandoli come compagni di viaggio con cui parlare si rende loro giustizia».
La copertina di Io Dio No è stata realizzata dall’artista Mauro Mazziero. Puoi raccontarci come è nata la vostra collaborazione?
«Ho deciso di affidare a Mauro Mazziero questa copertina dopo la nostra collaborazione per l’album Giostre, uscito il primo gennaio di quest’anno. Non intendo dare una spiegazione di ciò che raffigura, dico soltanto che non si tratta di un’illustrazione ma di un vero e proprio congegno di immagini che guida il pensiero verso un’esperienza spirituale. Io Dio No è anche un disco da guardare».
Hai dei tatuaggi che riproducono le copertine dei tuoi singoli Vapaus e Tidur.Il primo raffigura l’occhio massonico di Dio, l’altro una mano. Puoi spiegarci il perché di questa scelta?
«Conosci il libro Note del guanciale scritto da Sei Shonagon? È un classico della letteratura giapponese da cui Peter Greenaway trasse il film I racconti del cuscino. Il mio corpo è un testo per immagini e parole, è il mio testamento».