Gargia, regista e produttore di audiovisivi, è il direttore artistico di Tam Tam Digifest Come ha pensato a questo Festival?
«15 anni fa cominciavano a intravedersi i segni di un cambiamento rivoluzionario. Quello dell’avvento del digitale nel cinema. Perciò abbiamo pensato a una rassegna che potesse seguire e raccontare questo cambiamento. Quindi quello che abbiamo fatto si è sviluppato dentro le dinamiche di un cambiamento epocale in atto nel mondo del cinema, della narrazione per immagini, così profondo che non può ancora essere percepito in tutte le sue implicazioni. Ma che si può equiparare – per qualità e importanza – al passaggio dal cinema muto a quello sonoro, dalla Tv in bianco e nero a quella a colori. È il percorso che tramite le nuove tecnologie digitali, sta portando “Il cinema fuori dai cinema”, inventando forme di narrazioni per immagini per i nuovi media. Possiamo vedere un film o parti di esso con i cellulari, si può girare un film con uno smartphone, si assiste nelle sale a una proiezione trasmessa via satellite con una macchina in alta definizione, in cui la pellicola non c’è più. Il nostro Festival da 15 anni sta documentando questa nuovissima realtà, andando a riempire uno spazio ancora vuoto. Dove l’interazione con le tecnologie virtuali promette interessantissime ricadute sociali e occupazionali».
In questi giorni particolari il progetto prende forza, ma solitamente come viene accolto?
«Curiosità e interesse sono i sentimenti più diffusi. In questi giorni stiamo implementando e migliorando i rapporti con la nostra audience che è diffusa sul territorio grazie a iniziative social come quella di mandare in diretta Facebook un film previsto per l’8 marzo e che sarebbe stato cancellato per la vicenda coronavirus se non avessimo trovato questa modalità. Il digitale offre anche queste occasioni».
Come sceglie le tematiche delle varie edizioni?
«Faccio una sintesi tra i film più interessanti su quel tema e i trend di maggior interesse di quel momento. Ovviamente c’è anche un po’ di scelta personale, di ciò che piace e interessa a me come individuo. Tutto ciò fa la cifra del Festival».
Ci parla dell’edizione di quest’anno?
«Il tema è “Donne di frontiera – rivoluzioni al femminile”. É una carrellata veloce, per usare termini cinematografici, su oltre un millennio di personaggi femminili che hanno segnato un cambiamento storico, da Ipazia a Giovanna d’Arco, da Marie Curie a Tina Modotti con una sezione sulle eroine del fumetto da Wonder Woman a Lara Croft».
Qual è il suo percorso artistico?
«Io vengo dal teatro. Ho cominciato facendo l’attore poi ho ideato il mio primo Festival a 24 anni, si chiamava ” Il Carnevale delle Streghe” e si svolgeva a Benevento, l’idea era quella di rovesciare l’immagine tradizionale della strega lasciataci dall’Inquisizione. Al contempo ho fatto il giornalista e dopo aver lavorato per diverse testate nazionali da La Voce di Montanelli e Cuore di Michele Serra ho diretto un quotidiano di spettacolo ” OFF” e poi ho ideato e diretto il primo inserto di giornalismo a fumetti realizzato in Italia, “3D, la terza dimensione della cronaca” su cui è stato fatto anche un documentario. Sono regista e produttore audiovisivo».
Quanto inciderà il covid19 sul comparto dello spettacolo?
«Tantissimo ma potrebbe essere un modo per obbligarci a trovare strade nuove per entrare in contatto con il pubblico. Stiamo sperimentando una sorta di ” visione collettiva social” in cui le persone sono in contatto in una chat temporanea che simula l’uscita da un cinema e si scambiamo commenti su quello che hanno visto on line. Speriamo di essere pronti già tra un paio di mesi a lanciarla in questa edizione».