Datata 2017 e da poco disponibile su Netflix, la “Napoli velata” di Ferzan Ozpetek è una delle sue opere più riuscite. Una donna ritrova se stessa al chiaro di luna; si chiama Adriana e nella vita è un medico legale. Un incontro fortuito accende il desiderio e porta la luce nel suo gelido obitorio, ma il fato deve ancora giocare le sue carte, in una città di passioni represse e omicidi chiusi nel loro mistero. Il suo amante Andrea viene ritrovato in un cassonetto, brutalmente torturato.
Qui il melodramma incontra il thriller regalando un po’ di inquietudine, ma nella seconda parte il rischio è che il film diventi ridondante, senza aggiungere nulla alla prima parte. Il “velo” è il vero protagonista del film: apre il sipario sui personaggi intenti ad assistere alla “figliata”, rito arcaico in cui le doglie del parto sono simulate da un “femminiello” sdraiato su un letto; protegge la protagonista da una verità difficile da accettare e dal giudizio del mondo, si stende su una città in cui riti ancestrali e modernità convivono e in cui tutto può accadere mentre sembra che nulla accada. Ma il velo è anche il filtro attraverso cui la vicenda si dipana per lo spettatore, sempre sul punto di comprendere e sempre sviato. La verità è sempre sotto gli occhi, ma bisogna decidere di vederla e anche quando si pensa di averla afferrata può essere solo un’illusione.
Il finale concretizza il mantra che abbraccia tutto il film sull’importanza del “sentire” rispetto al “vedere”. “Napoli velata” è un cinema di corpi, che si stringono di notte e si perdono al mattino; il sentimento divora i due innamorati e li trasporta in un mondo surreale dove la realtà si mescola al misticismo.