Uno spettacolo multidisciplinare quello che vedrà Enzo Gragnaniello ed altri artisti andare in scena giovedì 5 marzo al Teatro Augusteo di Napoli sotto la direzione del regista italo-africano Mvula Sungani. Ad entrambi abbiamo chiesto di raccontarci come e da dove nasce Neapolis Mantra.
Sembra che la protagonista dello spettacolo sia la Donna nei suoi molteplici aspetti archetipici: quanto può la musica educare alla vera conoscenza del mondo femminile?
«Mvula Sungani – L’obiettivo dell’opera è esattamente questo, rappresentare la donna ed il suo complesso mondo partendo dai testi delle canzoni. L’interprete femminile di Neapolis Mantra è Emanuela Bianchini, étoile in grado di rendere tridimensionali le emozioni che Enzo esprime con la voce ed il suo vissuto. Nell’opera, il corpo delle danzatrici diventa materia e in base alla costruzione registica e coreografica esprime forza, eleganza, plasticità alternando scene di vita vissuta a intense immagini mistiche».
Si invita lo spettatore ad entrare in una dimensione tantrica, quest’antica branca esoterica dell’induismo: quanto di questo c’è nello spettacolo?
«Mvula Sungani – La danza di suo rappresenta una forma espressiva ancestrale legata alla sacralità ed allo spirito, come ad esempio nella trans rotativa dei Dervisci, nella meditazione dinamica di Osho o in moltissime danze etniche. La physical dance, linguaggio espressivo utilizzato nello spettacolo, rappresenta la sintesi contemporanea dei vari linguaggi del corpo, di figure statiche più meditative ispirate allo yoga e di gestualità rituali legate al mondo mistico ed etnico, in grado di accompagnare chi assiste in una dimensione onirica. Tutto questo è stato ispirato dal suono della voce di Enzo che, a mio avviso, in alcuni momenti, si eleva a canto primordiale».
I mantra sono preghiere: l’arte e le sue forme (danza, teatro, musica) possono riportare il sacro ormai perso nella società cosiddetta civile?
«Enzo Gragnaniello – Di solito il mantra è espresso in lingua sanscrita ed è una forma di preghiera universale, nel mio caso io canto e suono parole e musica che mi vengono dettate dal cuore e per questo sono sicuro che arrivi automaticamente alle persone, perché la musica non è altro che energia, non passa per la razionalità ma colpisce direttamente al cuore. Non sono né buddhista né induista, sono napoletano e, in quanto tale, ho come dono un modo di cantare molto evocativo, che spesso si trasforma in qualcosa di religioso e rituale».
Come nasce l’incontro artistico fra di voi e il concepire insieme questa proposta poliforme di spettacolo?
«Enzo Gragnaniello – Mvula già mi conosceva e mi apprezzava come artista, non a caso per la scaletta dello spettacolo ha scelto proprio i brani a cui io ero più affezionato. È stato quindi un connubio perfetto, quello tra la mia musica e un tipo di danza con cui è riuscito a rappresentare perfettamente il messaggio intimo e evocativo dei miei brani».
Com’è arrivata l’idea di sposare la voce black di Enzo alla sezione di archi dei Virtuosi italiani?
«Mvula Sungani – Penso che Enzo abbia un sound ed una band eccezionali, unici, che insieme rappresentano a pieno l’anima dei brani in scaletta. L’innesto dei Virtuosi Italiani si è reso necessario per conferire allo spettacolo un’atmosfera più aulica, acustica, in grado di trasformare musicalmente Neapolis Mantra in un’opera etno-rock sinfonica».