Spinto dalla necessità di raccontare il mondo della disabilità e di sensibilizzare le istituzioni sulla questione delle barriere architettoniche, il fotografo Paolo Manzo realizza M, un libro fotografico, il progetto frutto dell’amicizia con Mario, un giovane disabile di Napoli. Paolo conosce Mario nel 2015 in un pub, e viene subito conquistato dalla sua forza, dal suo coraggio e dalla sua vitalità nell’affrontare le difficoltà quotidiane. La vita di Mario cambia nel 2002, a sedici anni, quando dopo un tuffo dal pontile dell’Italsider di Bagnoli, subisce una lesione midollare c4/c5, ASIA A. La sua condizione fisica, la tetraplegia, limita la funzionalità dei quattro arti, rendendo impossibile lo svolgimento delle semplici azioni giornaliere. Attraverso appassionanti scatti in bianco e nero, il fotogiornalista Paolo Manzo documenta le giornate di Mario, il legame profondo con la madre e le due sorelle, e rivolgendo lo sguardo alla periferia di Napoli, focalizza il suo obiettivo sul quartiere Fuorigrotta, dove vive Mario. M è un libro fotografico, frutto di tre anni di lavoro, il titolo riassume la trilogia della storia: Mare, Madre, Mario. Mario il protagonista, il mare, luogo dell’incidente e la madre che l’ha accudito e fatto rinascere. Per concretizzare il progetto M, il fotografo Paolo Manzo ha avviato una campagna crowdfunding, con una prevendita di copie, che gli permetterà di pubblicare il libro. www.crowdbooks.com
Cosa ti ha colpito di Mario il giorno in cui lo hai conosciuto?
«Prima di conoscere Mario, già sentivo l’esigenza di avvicinarmi al mondo della disabilità, per un desiderio personale, volevo mettermi alla prova. Conobbi Mario in un pub e fui colpito all’istante dal fatto che lui non si sentisse per niente a disagio, a causa della sua condizione fisica. In quel pub, luogo di incontro e di aggregazione, furono demolite le mie barriere interiori. Nacque subito un’amicizia sincera. Gli proposi il mio progetto, quello cioè di voler raccontare la sua storia e lui accettò. Fui soprattutto stimolato, dalla sua intelligenza e dalla sua voglia di vivere e in particolar modo dall’entusiasmo, trasmessogli dalla sua famiglia e dai suoi amici, tra cui Emanuele, che dopo l’incidente non l’ha mai abbandonato. Gli amici veri sono cresciuti insieme a lui, lo hanno sempre sostenuto, rispettando i suoi tempi».
Le barriere architettoniche limitano l’indipendenza delle persone con disabilità…
«Sì, molti posti sono praticamente inaccessibili ai disabili. Purtroppo Mario incontra quotidianamente ostacoli nei suoi spostamenti con la carrozzina, sacchetti dei rifiuti per terra, cartelli stradali al centro del marciapiede, auto e motorini parcheggiati davanti alle rampe, ritrovandosi spesso a camminare per strada, fuori dal marciapiede».
Come trascorre le sue giornate?
«Mario è impegnato con la sua associazione, per portare avanti il progetto di vita indipendente, in riferimento all’art. 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che prevede tra l’altro una serie di servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale. Mario cerca ogni giorno di mettersi a disposizione degli altri, sostiene moralmente coloro che ne hanno bisogno, aiutandoli a superare quelle difficoltà, che lui in passato è riuscito a vincere».
Hai scattato foto anche nel quartiere in cui vive Mario, quello di Fuorigrotta…
«Attraverso i miei scatti ho documentato l’abbandono e il degrado del quartiere, invivibile e dimenticato dalle istituzioni. In particolare gli scatti nell’Italsider di Bagnoli, il luogo in cui è avvenuto l’incidente, documentano un luogo intriso di pericoli, una zona che i ragazzi percorrono durante i mesi estivi, per poi tuffarsi a mare».
C’è uno scatto che ritieni significativo e che ti rimarrà impresso?
«La foto dell’abbraccio della madre. Uno scatto che mi ha coinvolto a livello emotivo. Riflettendomi in quello scatto, ho avvertito il desiderio di un abbraccio, mai dato a mia madre. Vedere Mario abbracciato a 33 anni alla madre, mi ha emozionato. Penso che abbia trovato la forza in quegli abbracci ricevuti».
Cosa rappresenta questo libro fotografico per te a livello umano?
«È un’esperienza che mi ha plasmato interiormente, cambiando totalmente il mio modo di vedere la vita, le mie azioni e il mio approccio con gli altri».