La Galleria Toledo di Napoli ospiterà fino al 24 novembre, lo spettacolo “La Medea di Portamedina” tratto dal romanzo di Francesco Mastriani, con la regia di Laura Angiulli. La Galleria ha il merito di essere, in una città come Napoli ricca di fermenti culturali, un punto di riferimento importante per chi ama il vero Teatro d’avanguardia, caratteristica che gli ha permesso negli anni di sperimentare nuove strade e di offrire al suo pubblico sempre nuovi stimoli culturali. Coletta Esposito (Alessandra D’Elia) figlia di Maria, per uscire dall’inferno dell’Annunziata nel quale è stata abbandonata, suo malgrado è costretta ad accettare il matrimonio con Pagliarella Tommaso (Agostino Chiummariello) molto più vecchio di lei. La Masaniella dell’ Annunziata, animata dall’ irruenza della giovane età, non riesce ad accettare le attenzioni del marito perché attratta da Cipriano Barca (Pietro Pignatelli), che riesce a stregare con la forza della sua dirompente passione. L’unione viene rallegrata dalla nascita di – un angelo di bellezza- ma la felicità della coppia viene funestata da Donna Vincenza (Federica Aiello), fermamente decisa a far ammogliare sua figlia Teresina (Fabiana Spinosa) con Cipriano, che alla fine cede alle sollecitazioni delle due donne. Malgrado le amorevoli intercessioni della madrina Cesarina (la madre naturale della protagonista) Coletta Esposito, divorata dalla gelosia e dal desiderio di vendetta, uccide la figlioletta. L’attenta e sapiente regia di Laura Angiulli ha il merito di aver dato nuovo vigore a un testo molto rappresentato, scarnificando la storia al fine di renderla più fruibile condensandola in sessanta intensi minuti. In scena Alessandra D’Elia, Pietro Pignatelli, Agostino Chiummariello, Federica Aiello, Fabiana Spinosa, Michele Danubio, Antonio Speranza, Caterina Pontrandolfo, Paolo Aguzzi, Luciano Dell’Aglio, Caterina Spadaro. La tragedia ha vari livelli di lettura: il primo è quello sociale della mediocrità borghese di Cipriano Barca, che sceglie la serena normalità di una moglie tranquilla, contrapposta con la verace e sanguigna classe meno abbiente di Coletta Esposito. Il secondo livello riguarda i riferimenti politico culturali della società dell’epoca(1792) in cui malgoverno, orrore, superficialità, arte dell’arrangiarsi, mancanza di valori, la fanno da padrone in una Città abitata da diavoli. L’ultimo è quello emozionale di una identità femminile che si discosta dai modelli prestabiliti, dall’obbligo materno di amare e crescere i propri figli, che sceglie di uccidere il proprio figlio per vendicarsi dell’amato. Coletta Esposito essenzialmente uccide se stessa, la sua essenza incompleta, incapace di distinguere tra bene e male. Uccidere i propri figli rappresenta per questa donna senza storia,una catarsi liberatoria dalla morte che porta nelle sue viscere, una rivolta contro il destino che è stato avaro verso di lei, in quanto non può apprezzare quello che gli è stato negato nell’infanzia dai suoi genitori naturali. L’autore pone l’accento sulla ineluttabilità del destino che pone i protagonisti nella condizione di vittime delle circostanze, incapaci di difendersi dal dolore che è ovunque sempre, anche in quelli che sembrano apparentemente felici. Le scarne ed essenziali scene di Rosario Squillace, le luci di Cesare Accetta, le originali musiche di Daniele Sepe, contribuiscono in maniera significativa alla perfetta riuscita dello spettacolo. Una Compagnia unita, che grazie a un lavoro corale, riesce a toccare le corde più profonde dell’animo umano, evitando facili e convenzionali effetti scenici, fino all’inevitabile e drammatico finale.
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