Il cantautore calabrese Tommaso Talarico concepisce un nuovo singolo intitolato “La tua paura”, un invito a demolire il muro eretto da paure e pregiudizi, nei confronti dello straniero e di coloro che vengono considerati diversi, per il proprio orientamento sessuale. Talarico seguendo le orme dei grandi cantautori, propone un brano dalla melodia pop rock d’autore ( pubblicato dalla RadiciMusic e arrangiato da Gianfilippo Boni), il cui testo medita sulla questione riguardante l’accrescersi e il radicarsi dell’odio e della discriminazione razziale, nella nostra società.
Il singolo “La tua paura” è un’accesa critica nei confronti della società odierna responsabile di fomentare odio verso lo straniero. “L’odio che si nutre di paure” recita l’inciso. Una paura frutto di ignoranza?
«In parte sì, se intendiamo con ignoranza anche una percezione distorta e manipolata della realtà. Più che la società nel suo complesso, io credo che siano i demagoghi e gli avvelenatori di pozzi a fomentare i sentimenti di odio, incanalando cinicamente le frustrazioni e il disagio che molte persone avvertono, magari a ragione, di fronte ai cambiamenti del mondo iperglobalizzato. Quello che intendo dire è che offrire un nemico alla folla è sempre stato il modo più semplice per ottenere consenso, per aggregare intorno a un sentimento identitario la cosiddetta opinione pubblica».
Il brano spinge ad un’attenta riflessione di fronte al dilagare di atti di razzismo. Quanto influenza il propagarsi di un’ideologia sovranista?
«È appunto quello che dicevo prima. Il “sovranismo” viene declinato ai giorni nostri come un nazionalismo duro e puro, su base etnica e culturale. Quindi a essere presi di mira non sono solamente gli stranieri, ma anche, per esempio, coloro che hanno un orientamento sessuale diverso. Non è un caso se alcuni politici usano strumentalmente simboli religiosi in senso totalmente contrario al messaggio cristiano, proprio perché declinano quel messaggio non partendo dal suo senso più profondo, ma in chiave esclusivamente identitaria e aggressiva. Chi non si riconosce in tutto questo è un nemico della Patria, della Croce e della famiglia tradizionale, anche se magari i primi a violare i precetti cattolici sono proprio coloro che li strombazzano senza ritegno. Nella canzone lo dico chiaramente: ” che Dio, Patria Famiglia, e in fondo non ci credi”. È solo ipocrisia».
Nel videoclip il protagonista, come in un incubo, immagina di vedere entrare in casa una donna di colore. Il thriller si conclude con una festa nella sala da pranzo, in cui si riuniscono persone di varia nazionalità. È una chiara esortazione ad abbattere le barriere costruite da paure e pregiudizi?
«Sì esattamente. Il finale del video ha quell’intento, e anche quello di ironizzare sull’insensatezza di certe paure. La tensione accumulata dall’apparizione della donna come un incubo tremendo, si scioglie nel ballo e nei sorrisi. È un invito a lasciarsi andare, e magari a provare a conoscere meglio ciò che si teme».
Hai altri brani nel cassetto?
«Ho molte canzoni nuove, questo sì. Prima di inserirle in un nuovo album, credo che mi prenderò la libertà di presentarle in un piccolo spettacolo che sto preparando, e che porterò in giro a partire dalla fine di febbraio 2020. Sarà un piccolo tour in solitaria, chitarra armonica e voce, in cui racconterò le canzoni e mi racconterò, in un dialogo con il pubblico. La prima data sarà al Teatrino di palazzo Chigi, a San Quirico d’Orcia, il 28 febbraio».
Lo scorso anno hai pubblicato il tuo disco d’esordio “Viandanti (canzoni da un tempo distante). Che significato ha per te questo album dal punto di vista umano ed artistico?
«È un disco di cui vado fiero, che è costato più di tre anni di lavoro, ma mi ha regalato grandi soddisfazioni. Lo considero un punto di partenza, dopo anni in cui mi ero un po’ allontanato dal mondo della musica. Nei nuovi concerti presenterò le canzoni di “Viandanti”, oltre alle nuove, in una veste un po’ diversa. Restituirò loro la semplicità e l’intensità di quando le ho scritte. Ne sento il bisogno».