Dopo il debutto della nuova stagione con “La classe. Ritratto di uno di noi”, Gabriele Russo porta in scena “Le cinque rose di Jennifer”, uno dei testi più rappresentativi della produzione artistica di Annibale Ruccello. Il dramma, che vede come protagonisti Daniele Russo nel ruolo di Jennifer e Sergio Del Prete nel ruolo di Anna, sarà in scena al Teatro Bellini fino a domenica 10 novembre.
Rappresentato per la prima volta nel 1980 con lo stesso Ruccello nei panni di Jennifer, il testo ha una forza creativa indiscussa, che pone gli attori di fronte a una vera e propria metamorfosi, che non è solo quella di un attore che si prepara ad affrontare l’interpretazione di un personaggio, ma anche una trasformazione che parte dall’interno, che propone – all’attore prima e agli spettatori poi – di affrontare degli interrogativi, sulla vita e sulle persone, e di capire come comunicare ciò che si è decifrato dopo tale riflessione. Jennifer è un travestito che abita in un nuovo quartiere popolare nella Napoli degli anni ’80, ossessionato nell’aspettare chiuso in casa la telefonata dall’uomo di cui è innamorato, Franco. Le sue attese saranno, però, vane e, fra momenti di suspense e musica, agli spettatori non resta che un senso di angoscia e di disillusione. Nell’attesa della telefonata o dell’arrivo di Franco, la protagonista passa il suo tempo ad ascoltare la radio, dove si alternano le canzoni di Patty Pravo, Romina Power e Mina. Nel mentre la notizia di un serial killer che uccide i travestiti nel quartiere si fa sempre più inquietante, ma Jennifer non sembra darle importanza, reagendo con la sua spontanea ironia e apparente leggerezza.
Con la presentazione in scena dell’altro personaggio, Anna, anch’essa un travestito in attesa di una telefonata importante, nuovi temi vengono introdotti: quello della religione e della fede, di cui Anna non riesce a fare a meno e di cui Jennifer, invece, si prende gioco, e, inoltre, quello della solitudine. Sebbene Jennifer millanti tante conoscenze e tanti spasimanti, lo spettatore è consapevole del fatto che ella in realtà sia sola e che ella si senta terribilmente sola: attende Franco così ardentemente non solo perché ne è innamorata, ma anche perché sarebbe la sua unica speranza di liberarsi della solitudine. «Le cinque rose di Jennifer – scrive Gabriele Russo nelle note di regia – racconta di due travestiti napoletani ma racconta anche e soprattutto la solitudine, la solitudine che è il rovescio della medaglia della speranza che Jennifer mantiene dentro di sé fino alla fine e, dal mio punto di vista, oggi racconta con forza anche la condizione dell’emarginato, quella di chi si deve nascondere».
Il testo di Ruccello permette, dunque, di porsi degli interrogativi, e attira per tutto il tempo della rappresentazione il bagaglio emotivo dello spettatore, legato fin dalle prime battute al personaggio così vero, ma allo stesso tempo così enigmatico, di Jennifer. Daniele Russo si immerge in questo personaggio in maniera così viscerale e profonda, da far risultare quasi improbabile l’idea che egli possa essere qualcun altro all’infuori di Jennifer. «Non è un testo su cui sovrascrivere – continua Gabriele Russo – ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi. Ad esempio, Anna, il travestito che va a trovarla a casa, chi è? Una proiezione di Jennifer? Il suo inconscio? L’assassino del quartiere? Gli omicidi stanno accadendo realmente? Le telefonate sono vere o inventate? Quel che accade è vero o è tutto nell’immaginario di Jennifer? Ecco perché nella nostra messinscena Anna è presente sul palco tutto il tempo dello spettacolo, osserva Jennifer dall’esterno, si aggira come uno spettro intorno alla casa (l’isola) su cui Jennifer galleggia e vive la sua intimità. È il suo specchio».