L’Ep Port Louis segna la prima tappa significativa nella carriera del musicista ed interprete Johnny Casini. La sua avventura inizia nella sua città, Correggio, in provincia di Reggio Emilia, dove intraprende gli studi di chitarra classica e ed elettrica. La sua passione per la musica lo porta a pubblicare la prima demo di brani inediti, “For a New Death”. Durante un concerto promozionale, Johnny Casini incontra il produttore Claude Ismael, che colpito dal suo talento e dalle sue doti di compositore, gli propone di trasferirsi a Londra per produrre il primo disco. Affiancato dal produttore Phil Manzanera e da eccellenti musicisti, Casini compone i brani di Port Louis. L’Ep, frutto dell’influenze musicali americane e britanniche, come il southern rock e il brit pop, rappresenta la trasposizione in musica delle sensazioni provate dal musicista emiliano, nel periodo trascorso lontano da casa. Port Louis, intriso di sentimenti, parla di solitudine, di amicizia, di amore e di famiglia. Il lancio prima sul mercato discografico americano e successivamente europeo, vede Johnny Casini volare in California e collaborare con il musical director Keri Lewis.
Port Louis è il titolo del tuo nuovo EP. L’hai voluto dedicare a tua madre originaria delle Mauritius?
«Esattamente e non solo. “Port Louis” come titolo del mio EP ha due motivazioni principali. La prima è questo legame con la terra di nascita di mia madre, quindi una dedica nei suoi confronti, per chi sono e per chi sono diventato. La seconda è perché essendo una città con un porto marittimo, ho cercato di creare un’immagine metaforica in cui su una piccola barca partivo, navigavo e attraversavo l’immensità degli oceani alla ricerca dei miei sogni. Tutto ciò rappresenta uno stato di libertà, di sofferenza e di gioia, di ricerca, di speranza, di amore puro verso le proprie paure e i propri limiti».
Il disco è uscito prima in America e successivamente in Europa. Com’è stata accolto e dove ha riscosso maggior successo?
«L’EP ha avuto un buon riscontro sia in America sia in Europa, per questo sono molto felice. Il mio sound è un insieme di colori e culture musicali differenti, motivo per cui ha suscitato interesse sia in America sia in Europa. Infatti, le ispirazioni delle mie composizioni artistiche derivano soprattutto dall’Inghilterra, USA e Italia. L’Inghilterra è la mia più grande influenza artistica a livello musicale. Sono un fan di tutto il Britpop dai “Beatles” passando per tutti i decenni successivi fino a band recenti come “Arctic Monkeys” e “Kasabian”. In parte ciò deriva anche dalle mie origini famigliari. Dell’America ho sempre avuto un’immagine molto suggestiva che mi ha anch’essa condizionato nelle mie composizioni. Vivendo in Emilia Romagna in cui vi è il fiume più lungo d’Italia che è il Po e una via storica come la via Emilia, immaginavo di essere in una dimensione ridotta del Sud degli Stati uniti. La mia fantasia mi portava a vedere la via Emilia come la Route 66 e il Po come il Mississipi. Lungo queste vie di comunicazione sia in America sia in Italia s’incontrano realtà artistiche e culturali che confermano questa mia immagine. Ultima ma non ultima l’Italia. In effetti, le mie esperienze di vita, il mio cuore e la mia formazione culturale è avvenuta in Italia».
Nel singolo Dark Sunglasses esprimi il tuo modo di affrontare la vita. Quante volte hai dovuto usare dei filtri per difenderti dalla realtà?
«Quando ho scritto “Dark Sunglasses” ho pensato ad un brano che con metafore rappresentasse le difficoltà che i ragazzi hanno nelle loro scelte difronte ai propri cambiamenti di vita. Gli occhiali sono come un filtro da mettere sugli occhi ogni volta che non vogliamo vedere la verità. La collina dove piangere le proprie lacrime di tristezza rappresenta questi cambiamenti. Ho scritto questo brano per dare una speranza e la forza di poter togliere gli occhiali un giorno, di poter vivere senza filtri e di accettare che la vita in se è un insieme di grandi cambiamenti. Ho un rapporto particolare con i miei filtri. Li utilizzo senza accorgermene. Sono per me una difesa personale nei confronti degli eventi esterni e di situazioni a me sconosciute. La paura di cambiare che si scontra con la paura di stare fermo, immobile, bloccato in uno stato di routine. Togliendo questi filtri sono più libero e più vivo. Alla fine come diceva Fernando Pessoa: “La vita è un male degno di essere vissuto”».
Come hai trascorso gli anni vissuti a Londra al fianco di prestigiosi musicisti?
« La collaborazione con Phil Manzanera mi ha aiutato a esprimere al meglio attraverso la musica i mie sentimenti, i contrasti, le gioie e i dolori. Questa ricerca è stata effettuata con la supervisione artistica del grande Phil Manzanera con la stretta collaborazione di musicisti di altissimo livello (Gus Robertson (Razorlight), Javier Weyler (Stereophonics), Michael Boddy (Bryan Ferry & Roxy Music), Paddy Milner (Todd Sharpville, Tom Jones) e Yaron Stavi (Richard Galliano, Robert Wyatt, David Gilmour). Lavorare fianco a fianco per un lungo periodo con professionisti come quelli sopracitati ti permette di avere una crescita professionale, culturale e personale sul piano artistico, umano e psicologico di altissimo livello».
Hai iniziato a studiare musica all’età di 12 anni. Quali ricordi conservi degli inizi, quando hai cominciato a suonare la chitarra classica e poi quella elettrica?
« Tutto è iniziato verso i 6/7 anni in cui i miei genitori mi hanno indirizzato allo studio di uno strumento musicale. Considerando l’età e il dubbio di poter trasmutare il tempo musicale in altro ho iniziato con lo studio della chitarra classica. La vena rock era già dentro di me perché dopo poco utilizzavo la chitarra classica come una elettrica e non nel modo “classico”. Vista la passione che stava bollendo dentro di me a 12/13 anni sono passato allo studio della chitarra elettrica. Mi ricordo le prime emozioni nel riuscire a suonare canzoni che ascoltavo su disco e poterle far sentire ai miei amici e alla mia famiglia. Da lì è nata questa voglia, esigenza, piacere di esprimermi su un palco davanti ad un pubblico. Riprendendo la domanda precedente quando scrivo, suono e sono sul palco i “filtri svaniscono”. Vivo e sono felice!».
Quale brano di Port Louis rappresenta l’anima di Johnny?
«Non c’è una canzone in particolare che rappresenti la mia anima. Ogni mia canzone è l’immagine sonora e descrittiva di una mia emozione, di un mio sentimento, di un mio pensiero. Mi auguro che le mie composizioni possano contribuire nel risvegliare i sentimenti e le emozioni di tutti quelli che ascoltano la mia musica».
Come sarà la tua estate musicale?
«La pubblicazione di Port Louis ha aperto molte porte. La mia estate musicale è di suonare Live e di trasmettere le mie emozioni nel cuore della gente il più possibile. Sono già in programmazione un tour live in California di tutto l’EP “Port Louis” con band a supporto e parallelamente la continua promozione live radiofonica in acustico. In seguito l’Europa. Ci saranno comunque altre novità “live” e le varie conferme che presto saranno annunciate ufficialmente».