Dal 25 al 28 Aprile 2019, al Teatro TRAM, Virus Teatrali in collaborazione con Teatro Insania presenta ‘Il bambino con la bicicletta rossa (voci di un rapimento)’, scritto e diretto da Giovanni Meola, con Antimo Casertano.
La pièce debutta nello spazio di via Port’Alba ed è liberamente ispirato al caso Lavorini, il primo rapimento di un minore finito tragicamente nell’Italia di 50 anni fa.
Il drammaturgo e regista napoletano ha immaginato di raccontare la storia, avvenuta a Viareggio, attraverso le voci, ma trasfigurate, dei veri protagonisti di questa vicenda intricata e misteriosa in cui la contrapposizione ideologica e politica ebbe un ruolo dominante.
Rapimento ed uccisione del piccolo Ermanno Lavorini attirarono da subito l’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica. Il fatto fu considerato frutto della devianza giovanile, ovvero del giro della prostituzione omosessuale e minorile che gravitava attorno alla Pineta di Ponente della cittadina balneare che, nel frattempo, era diventata simbolo del boom economico, meta di tantissime famiglie della media e medio-alta borghesia del paese.
Uno scandalo di proporzioni inaudite per un paese ancora puritano e benpensante. Gli adulti ingiustamente coinvolti nel caso furono distrutti nella reputazione: chi si suicidò, chi morì di crepacuore, chi ancora vide finire in polvere la sua carriera politica. Solo grazie alla pervicace azione di pochi, isolati, giornalisti, tra cui Marco Nozza, soprannominato ‘Pistarolo’, e della conseguente tigna di un magistrato coscienzioso ed attento, alcuni ragazzi appartenenti al Fronte Monarchico Giovanile furono, alla fine, condannati per motivi politici. Scopo del rapimento, un riscatto per procurarsi armi ed esplosivi per eseguire azioni eversive in contrapposizione alle contestazioni dei ragazzi di sinistra. I condannati cambiarono decine e decine di volte versione durante gli anni di indagini e detenzione, depistando scientificamente il corso delle cose. Il caso Lavorini fu definito da alcuni una sorta di anticipazione della strategia della tensione che di lì a pochi mesi (Dicembre ’69) scoppierà in tutta la sua violenza.
Ermanno Lavorini, 12 anni, esce già da solo inforcando la sua bicicletta Super Aquila rossa. Ma un pomeriggio, da quel giro in bici, non torna più. Primo evento mediatico in assoluto in Italia, il caso-Lavorini fu sulla bocca di tutti, tutti si sentirono genitori, fratellini o sorelline del piccolo rapito. Poi, di lui, tutti si dimenticarono. Tutti. Ma ora il Bambino ha di nuovo voce e ne sente a sua volta diverse altre, quelle di chi progettò, indagò, scrisse, depistò, raccontò. Di lui e del suo caso.
‘Il Bambino con la Bicicletta Rossa’ nasce, a 50 anni esatti da allora, dall’intuizione di un attore che affida alla penna di un drammaturgo la sua piccola ossessione, ricostruire cioè la vicenda, dimenticata e sepolta nonostante il clamore enorme dell’epoca, e raccontarne i retroscena e i perché della sua scomparsa dalla memoria pubblica odierna.
Quell’autore si è fatto a sua volta prendere da quella piccola ossessione, facendola propria, e ha immaginato delle ‘voci’, nove voci da un rapimento per l’esattezza. Quelle dei veri protagonisti di questa intricata vicenda: il Bambino, il Pistarolo, il Capo, il Playboy, il Ragazzino, il Sindaco, il Becchino, il Colonnello e il Magistrato. Ma le ha immaginate trasfigurate, ognuna con una sua specifica caratteristica in sede di scrittura, ognuna coniugata in uno stile diverso (prosa, versi sciolti, rime, endecasillabi, anafore, ecc.). Nove voci tutte affidate a volto, corpo e voce di quello stesso attore che, in scena, anche attraverso un inesausto lavorio fisico, potrà raccontare quella che forse fu proprio l’infanzia delle stragi, come scrisse qualcuno in quegli anni, Cassandra inascoltata o forse volutamente trascurata. In fondo, l’Italia non continua ancora oggi ad essere il paese dei misteri irrisolti?