“Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, con la regia di Massimo Popolizio e la drammaturgia di Emanuele Trevi, dopo il continuo successo dall’esordio nel 2016 e i numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Ubu nel 2017, arriva al Teatro Bellini di Napoli dal 26 al 31 marzo. In scena gli attori Lino Guanciale, Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Verdiana Costanzo, Silvia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti.
I racconti della vita di borgata dei giovani romani del Dopoguerra vengono affrontati in scena come piccoli capitoli, tenuti insieme dalla presenza di un narratore, interpretato da Lino Guanciale, che assiste alle vicende, ma al tempo stesso ne è estraneo. Un ulteriore elemento di congiunzione è la presenza del personaggio del Riccetto, un giovane apparentemente spensierato ma impegnato, come tutti gli altri personaggi, nel riuscire a sopravvivere allo squallore e alla povertà tramite diversi escamotage o piccoli furti, come si apprende, ad esempio, nella scena del tram in cui il Riccetto e i suoi amici rubano del denaro dalla borsa di una signora. I diciannove attori in scena si alternano in questi spezzoni dando vita ai diversi personaggi del capolavoro pasoliniano e al tempo stesso formando quello che può essere definito un coro di voci: è quello del sottoproletariato urbano del secondo dopoguerra, fatto di persone – e nella narrazione soprattutto di giovani – animate dal dialetto romanesco vivo e autentico, quello tipico delle borgate del tempo. «Il romano – spiega Popolizio – non va usato come una scorciatoia perché una sola parola, sempre la stessa, può significare mille cose diverse a seconda dell’intonazione che le viene data da chi parla. “Stronzo” può essere urlato come un insulto o diventare un’espressione di amicizia, così come “li mortacci tua“, l’esclamazione che ricorre quasi in ogni pagina del romanzo, può esprimere ironicamente affetto e addirittura meraviglia. Malgrado il romano non sia una lingua teatralmente codificata, come ad esempio il napoletano, ha una grande forza teatrale perché permette di dire non solo quello che dice, ma anche un’altra cosa».
L’importanza della lingua all’interno dell’opera viene risaltata ancor di più dalla decisione di rappresentare anche il glossario fornito da Pasolini, attraverso la breve scena delle due donne delle pulizie in cui una chiede all’altra – dal forte accento est europeo – la traduzione dall’italiano al romanesco di diverse parole, come “caciara” o “grattachecca“. Il testo originale viene, così, ampiamente rispettato in quanto la traduzione teatrale viene compiuta, da parte del drammaturgo, in maniera naturale e quasi spontanea, lasciando la narrazione alla voce non solo del narratore esterno, ma anche degli stessi personaggi, i quali si esprimono con la terza persona. Gli spettatori si sentono a stretto contatto coi personaggi non solo per la forza espressiva degli attori e per la caratteristica delle scene narrate, piuttosto che dialogate, ma anche grazie ad un espediente scenografico: il palco viene allungato di qualche metro, così che gli attori si muovano e parlino trovandosi ancor più vicini al pubblico, il quale può avere l’impressione forte ed inclusiva di far parte del borgo e divenirne parte integrante o, almeno, di essere suo ospite.
I momenti di avvicinamento fra gli spettatori e i personaggi raggiungono l’apice nelle scene cantate: musiche dall’aura poetica e quasi nostalgica, tratte soprattutto dal repertorio di Claudio Villa. Si tratta di canti che hanno il potere di stemperare la tensione delle scene più complesse e quasi tragiche, anche se trattate, in ogni caso, sempre in maniera ironica. A provocare il riso negli spettatori è, infatti, l’impronta grottesca che cala su alcune scene, come nel caso di quella del litigio fra i cani, aizzati dai giovani annoiati, in cui i tre animali vengono umanizzati, ovvero rappresentati da tre diversi attori. Tutti questi elementi, insieme all’incredibile bravura degli interpreti in scena, danno vita ad uno spettacolo capace di costituire, in maniera coerente ed efficace, il progetto teatrale perfetto rispetto all’opera letteraria e alla penna che l’ha realizzata e allo stesso tempo brillante nel tenere conto del piacere e dell’attenzione del pubblico, riuscendo addirittura, in alcuni casi, a superarne le aspettative.