Dopo “AMR. Storia di un riscatto”, un corto documentario su una storia vera di integrazione e di immigrazione, la giovane attrice, regista e sceneggiatrice Maria Laura Moraci torna dietro la macchina da presa per “Eyes”. Si tratta di un cortometraggio dedicato alla memoria Niccolò Ciatti, il 22enne ucciso a calci e pugni in una discoteca di Lloret de Mar (Spagna). Al centro del cortometraggio troviamo l’indifferenza collettiva che affligge la nostra società, in cui i personaggi di diversa età e classe sociale aspettano alla fermata di un autobus, fino a quando non accade qualcosa di tragico. La scelta degli attori che recitano con gli occhi chiusi, vuole essere una critica alla società divenuta incline alla violenza, all’ inerzia e al consumismo. “Eyes” è candidato tra i cortometraggi selezionati per il David di Donatello 2019.
Il corto è stato scritto e diretto da te ed è il tuo primo corto di finzione, che vede al centro della storia l’indifferenza collettiva che affligge la nostra società e che spinge a guardare altrove, dove c’è reale sofferenza e bisogno di aiuto. Come ti sei avvicinata a questa storia?
«Ad agosto 2017, dopo aver appreso dai giornali e dalla televisione l’uccisione di Niccolò Ciatti, il 22enne di Scandicci ucciso a calci e pugni mentre si trovava in una discoteca di Lloret de Mar, rimasi sconvolta non solo per la crudeltà di quelli che l’avevano pestato a morte, ma soprattutto mi colpì l’indifferenza delle persone attorno. Quindi volvevo fare qualcosa per ricordare Niccolò, denunciando l’accaduto con i mezzi che avevo a disposizione. A dicembre 2017, dopo qualche mese dall’accaduto, ero in classe a seguire una lezione di recitazione e l’insegnante ci chiese di fare un primo piano sul volto e di esprimere attraverso lo sguardo quello che vedevamo di fronte, senza però avere un’inquadratura di quello che sarebbe successo. Ho elaborato questo progetto insieme ad Elisa Fois e Francesca Aledda. Abbiamo immaginato di assistere ad uno stupro, che nel corto non si vede mai, ma si sente attraverso le urla della vittima e dallo sguardo di indifferenza di queste persone presenti. Sguardi diversi, ognuno rappresentava qualcosa di diverso. In qualcuno si legge il dolore, in un altro la paura, in un altro ancora la rabbia, il panico, l’angoscia. Alla fine del corto, anche se non immediatamente, i protagonisti si alzano e si avviano verso la siepe dove sta avvenendo lo stupro. Le urla della vittima cessano, quando loro sono fuori campo, perché vuol dire che sono arrivati alla siepe dove stava avvenendo la violenza. Il senso della storia è che se nel caso di Niccolò, qualcuno fosse intervenuto, anche se non subito, sarebbe finita con un’aggressione e non con una morte. Inoltre ho scelto che non si vedesse lo stupro, perché lascio libera l’immaginazione del pubblico di decidere se lo stupratore sia uno o più di uno, se sia italiano o straniero, quest’ultima cosa perché ultimamente in Italia si dà spesso la colpa agli stranieri, quando invece la maggior parte delle violenze avviene tra le mura domestiche».
Gli attori recitano ad occhi chiusi come critica verso una società divenuta incline alla violenza all’inerzia, al consumismo…
La metafora è guardare le cose senza vederle veramente. Loro hanno gli occhi chiusi già prima che avviene lo stupro, perché nella loro quotidianità vivono con l’indifferenza. Nel corto ho cercato di raccontare i diversi modi dell’indifferenza. C’è chi non fa sedere una persona anziana, oppure chi è superficiale e critica una trans, quella che sta al telefono e dice parolacce, non considerando le persone che ci sono intorno, stessa cosa vale per i due che pomiciano come se stessero a casa loro. Tutti sono indifferenti tranne due personaggi. La prima è una bambina che gioca con le bolle e non è ancora inquinata dalla società, l’altro personaggio invece ha gli occhi aperti, ma nel video non si vede perché viene inquadrato dal naso in poi. Si tratta della prostituta romana che fa tante domande all’altra prostituta, in questo caso mostra interesse, curiosità, quindi non è inquinata dalla società e mantiene la genuinità dei rapporti umani».
Oltre all’indifferenza in questo corto si affrontano diverse tematiche come la violenza sulle donne, l’omofobia, la prostituzione…
«Tutte queste tematiche rappresentano lo specchio della società di oggi».
La scelta della fermata dell’autobus è casuale?
«Ho scelto la fermata dell’autobus perché mi sembrava la metafora perfetta per raggruppare un gruppo eterogeneo di persone, con diversi ceti sociali, diverse razze, ognuna diversa dall’altra. La fermata rappresenta una gabbia, dove i personaggi sono racchiusi nella loro indifferenza. Ho scelto di lasciare il titolo “Eyes” in inglese perché la sua pronuncia significa anche ghiaccio ed è proprio il senso che ho voluto dare al corto, quello del gelo, dell’indifferenza. La fermata inoltre rappresenta anche un teatro, un palcoscenico dove avviene tutto e c’è un riferimento di Becket, dove non si sa chi sia Godot, non l’aspettano, non arriverà mai. L’autobus, infatti, quello atteso dai personaggi alla fermata, non arriva mai. Quello che arriva è il cambiamento, che porta a togliere il velo dagli occhi e prendere consapevolezza della realtà».
Come è avvenuta la scelta dei personaggi?
«Alcuni ruoli li ho scritti pensando già agli attori che avrei scelto per interpretarli, quindi sono cuciti su misura; mentre altri li ho scritti creando un personaggio specifico. Per questi ultimi, ai provini ho scelto gli attori più bravi che rispecchiassero al contempo l’immaginario che avevo di quel personaggio, e veder prender vita quelle parole in una persona fisica e reale è stato davvero magico».
Alla fine del corto sono riportate alcune notizie del tg3, che vedono al centro di tutto l’indifferenza umana.
«Nei titoli di coda c’è il video di Niccolò, quello girato nella discoteca al momento della sua aggressione, la cui autorizzazione nell’utilizzarlo mi è stata concessa dal padre. Inoltre ho voluto inserire l’audio del tg3, che riporta alcune notizie di tre aggressioni avvenute a Napoli nel periodo in cui stavo scrivendo il corto e una a gennaio, dove nessuno è intervenuto, né durante né dopo le aggressioni, e nessuno testimonia e aiuta gli inquirenti per le indagini. Tutti si voltano dall’altra parte».
“Eyes” è candidato tra i cortometraggi selezionati per il David di Donatello 2019.
«Sì, dobbiamo attendere il mese di marzo per sapere se saremo tra i primi cinque. Sarà difficile, però noi ci speriamo».
Sei un’attrice, regista e sceneggiatrice. Prima di “Eyes” hai diretto “AMR. Storia di un riscatto”, un corto documentario su una storia vera di integrazione e di immigrazione. A cosa stai lavorando in questo periodo?
«Come attrice continuo a fare provini, perché la recitazione resta la mia priorità. Come regista sto realizzando dei videoclip per dei giovani artisti. Per quanto riguarda la sceneggiatura, sto scrivendo un lungometraggio sul femminicidio, però non vorrei dirigerlo io. Se poi non dovessi trovare il regista, allora lo dirigerò da sola».