“Il Destino delle cose inutili” (Virgin Records/Universal Music Italia) è il nuovo brano di Ylenia Lucisano. Il singolo anticipa il secondo disco di inediti, la cui uscita è prevista a marzo. La cantautrice calabrese fa il suo esordio nella discografia nel 2013 con il brano “Quando non c’eri”. L’anno seguente pubblica il suo primo album dal titolo ’Piccolo universo’’ con cui vince il Premio Lunezia 2014 nella categoria Nuove Stelle. Ylenia si racconta a Mydreams, parlando del suo prossimo album, non tralasciando i suoi inizi da cantante di pianobar.
“Il Destino delle cose inutili” è il brano in distribuzione radiofonica ed anticipa il nuovo lavoro discografico
«”Il destino delle cose inutili” farà parte degli undici brani del mio secondo disco che vedrà la luce nel 2019. È una canzone apparentemente allegra, visto le sonorità, però ha un significato che lascia un po’ riflettere. L’ho scritta quando mi sono trasferita da Roma a Milano, una città in cui ho trovato la mia dimensione, sono riuscita a focalizzarmi sulla mia carriera, su quello che volevo realmente fare. Il brano appunto parla della mia scelta di cominciare una nuova vita, partendo dalle cose importanti, mettendo da parte tutte le idee e i pensieri negativi».
Come sarà il prossimo disco di inediti?
«Il lavoro è composto da undici tracce scritte da me, sia dal punto vista testuale che musicale. Sarà un album da ascoltare dall’inizio alla fine, nel senso che non è un disco fatto di singoli, ma racconta una storia, quindi un contest album in cui ogni brano ha un collegamento con l’altro e tutti raccontano di alcuni periodi particolari della mia vita, della mia carriera dal 2013 ad oggi».
Tu hai sempre scritto canzoni, anche da piccola insieme a tuo padre Carlo. Cosa ricordi di quel periodo e quanto il tuo passato ha influito sulle tue scelte legate al presente, ma anche al futuro?
«Lavorare al fianco di mio padre mi è stato veramente di aiuto. Ricordo con nostalgia, con malinconia quei momenti. Ho iniziato a 11 anni a fare pianobar, a suonare nei locali, insomma la cosiddetta gavetta, un’esperienza che mi ha dato una maggiore sicurezza nell’affrontare in maniera più matura quello che mi è successo dopo. Mi ha dato la giusta esperienza per apprezzare il vero valore della musica e del sacrificio. Perché solo facendo dei sacrifici, come sto continuando a fare, si riescono a raggiungere dei risultati».
Nel 2013 fai il tuo esordio con il singolo “Quando non c’eri” e l’anno seguente pubblichi l’album d’esordio “Piccolo universo”. Quanto sei cambiata artisticamente?
«Sono molto più consapevole delle difficoltà che ci sono. Prima affrontava le cose con più incoscienza. Non pensavo fosse così difficile affacciarsi al mondo della musica e riuscire a vivere solo di quello. Leggendo le biografie di moltissimi artisti, ho notato che anche loro prima di raggiungere il successo, hanno fatto mille lavori, tanti sacrifici e hanno vissuto anche la povertà. Diciamo che mi rivedo un po’ nelle biografie di questi artisti. Mi viene in mente Amy Winehouse, che ha sofferto tanto prima di raggiungere la fama, anche se poi non è andata a finire benissimo la sua carriera artistica, però lei è stata una che ha fatto tanti sacrifici e ci ha creduto fino in fondo. In un certo senso il mio percorso è proprio quello del sacrificio, quello di conquistarmi ogni giorno e un passo alla volta, il mio spazio e il mio pubblico».
Per te hanno scritto grandi autori come Pacifico, Zibba, Giuseppe Anastasi, Piero Romitelli. Come sono nate queste collaborazioni?
«Sicuramente grazie al fatto che ho avuto la possibilità di frequentare degli ambienti artistici, che mi hanno dato la possibilità di conoscere altri autori e musicisti. Alla fine in questo lavoro bisogna essere sempre presente nelle situazioni, fare pubbliche relazioni, farsi conoscere, fare ascoltare la propria musica. Tutto è nato in maniera spontanea, perché comunque gli artisti con cui ho collaborato non scendono a compromessi. Loro decidono di collaborare con un altro artista se veramente vedono che c’è un minimo di qualità, si devono innamorare del progetto, si devono innamorare artisticamente della persona. Queste collaborazioni sono nate in questo modo. C’è stato un amore reciproco tra di noi, quindi abbiamo deciso di condividere dei momenti musicali in studio, di scrivere insieme dei pezzi e di far nascere delle canzoni. È nato tutto in maniera abbastanza naturale».
Con quali artisti ti piacerebbe lavorare in futuro?
«Ce ne sono tanti. In realtà non prediligo nessuno in particolare. Nel senso che ogni possibilità di collaborazione che si presenterà in futuro l’accoglierò nel miglior modo possibile. Sicuramente i cantautori italiani, rispetto i rapper, sono quelli con cui mi piacerebbe collaborare, perché rispettano il mio mondo, anche se non escludo di lavorare con artisti che propongono un genere diverso dal mio, perché potrebbe essere stimolante».
Diverse le collaborazioni dal punto di vista live come opening act di due concerti: il “Vivavoce Tour” di Francesco De Gregori e di due date del “Ma che vita la mia tour” di Roby Facchinetti. Cosa hanno significato per te e per la tua crescita artistica?
«Per prima cosa è stata una scuola, perché ho avuto l’opportunità di stare al fianco di artisti di una certa fama, che hanno fatto la storia della musica italiana. Ho colto queste occasioni per imparare, osservare, capire quante più cose. Per me è stato molto più emozionante vivere il backstage, vedere come si preparavano prima dell’esibizione. È stato bello percepire la loro emozione prima di salire sul palco, proprio come se fosse la prima volta. Con loro è nato un’amicizia che è andato al di là degli opening act. Sono artisti che tuttora, qualunque cosa io faccia, posso rivolgermi per chiedere un consiglio, un parere, una critica. Ho avuto l’opportunità di far ascoltare il disco a Francesco De Gregori e mi ha dato dei pareri pazzeschi, quindi sono gasatissima per questo. Spero di continuare a collaborare con loro in qualche modo».