Parlare di Antonella Ruggiero non è semplice. La sua carriera è veramente vasta e ricca sotto ogni punto di vista. Ha iniziato nel 1975 fondando i Matia Bazar, gruppo che ha portato al successo sia in Italia che nel mondo. Nel 1989, dopo 14 anni, si lascia alle spalle questa piacevole avventura musicale, fatta di canzoni senza tempo, che ancora oggi sembrano non essere passate di moda. Nel 1996 inizia il suo percorso artistico da solista, segnato dalla sua estensione vocale, che le ha permesso negli anni di sperimentare diversi modi di fare e intendere la musica, spaziando da un registro pop a quello jazz, dalla musica sacra a quella popolare, dalla lirica al tango alla contemporanea. Lo scorso 20 novembre ha pubblicato “Quando facevo la cantante”, un cofanetto contenente 6 cd, una raccolta 115 brani che abbracciano l’intero percorso artistico da solista. Questa sera, sabato 24 novembre, Antonella Ruggiero sarà in concerto, nell’ambito della rassegna “Devozioni”, presso la Basilica di Santa Croce di Torre del Grego (Napoli) con “Cattedrali”, accompagnata per l’occasione dall’organo di Fausto Coporali.
Lo scorso 20 novembre è uscito “Quando facevo la cantante”, un cofanetto con 115 brani che raccoglie il meglio delle sue registrazioni live dal 1996 ad oggi. Una raccolta di brani, registrati sia in concerto che in studio.
«In questo cofanetto composto da 6 cd vi sono i diversi generi che ho frequentato in questi anni con formazioni delle più disparate dalla musica orchestrale a quella popolare, dal jazz al pop più rarefatto alla musica elettronica. Insomma è un po’ un riassunto di quello che ho fatto in 22 anni e cioè da quando ho iniziato da solista a ripercorrere la strada all’interno della musica con un intento sicuramente diverso da quello che frequentavo prima con il gruppo, con il quale ho condiviso 14 anni molto interessanti, di grandi viaggi in giro per il mondo a proporre le canzoni che ovviamente in molti conoscono, alcune di questa ancora molto amate. Quando facevo la cantante è il titolo ma è anche un percorso dal 1996 al 2018».
All’interno della raccolta ci sono alcuni brani mai pubblicati finora nella sua discografia…
«Ci sono dei pezzi che ho eseguito una sola volta, cose registrate e mai proposte. Ogni versione non è la copia esatta e basta. Roberto Colombo su ogni brano ha lavorato mettendo suoni, lavorazioni e suggestioni veramente interessanti. È un viaggio che può anche suggerire ai giovani, per chi volesse, che la musica si può fare sicuramente scollegata dai grandi meccanismi della musica legata soprattutto al pop».
In quanto tempo è stato realizzato?
«Ci sono voluti alcuni anni. L’idea è stata di Roberto Colombo che a un certo punto mi ha proposto di realizzare una raccolta per raccontare il mio percorso artistico, ma anche la mia vita vissuta, perché non è che si canta e basta. Si pensa, si elaborano tante cose dell’esistenza durante questo lavoro bellissimo che è quello della musica e del canto. C’è voluto il tempo necessario per non fare cose affrettate, per scegliere, per elaborare brano per brano, inserendo frammenti di altri concerti, mettendoli insieme. Un puzzle fatto di grande attenzione nei confronti di ciò che è stato realizzato negli anni, anche perché tanti sono stati i musicisti con i quali ho e abbiamo collaborato. Tutti molto bravi, tutti con la loro personalità, i loro mondi che sono estremamente interessati. Ci vuole tempo per fare le cose che si amano».
Seguirà un tour con la stessa caratteristica del cofanetto, ovvero dove proporrà un po’ il suo repertorio in generale, spaziando tra i vari generi?
«Da anni sto realizzando concerti che hanno titoli particolari. L’ultimo risale a quattro fa e si intitola “Concerto versatile”. In questi concerti faccio un percorso di questo genere dove non c’è un solo racconto sonoro, ma c’è veramente di tutto. Quindi si spazia nei vari territori, nei vari mondi, ed è molto interessante vedere la reazione del pubblico che magari non si aspetta queste proposte, ma che poi rimane affascinato dalla diversità, da queste sfumature diverse, da queste intenzioni diverse date da generi diversi».
Lei ha viaggiato tantissimo per il suo lavoro. C’è un luogo in particolare che l’ha affascinata o ispirata in particolar modo?
«Ci sono luoghi che non esistono più, come l’ex Unione Sovietica dove la gente viveva in maniera profondamente diversa da quella che è oggi la Russia, piuttosto che la Siria, la Giordania, che adesso sono completamente bombardate, oppure l’America Latina sotto la dittatura. Sono cose che ho sempre osservato con grande attenzione e che poi sono diventate in qualche maniera un’interpretazione piuttosto che una scelta. Per finire, poi, Berlino dove sono stata per la prima volta durante gli anni del muro e dove poi ho vissuto e continuo a vivere, perché è una città che ha queste tracce indelebili del suo passato che a me affascinano moltissimo. Muovendosi ci si rende conto di come sia bello anche lo scambio con culture diverse, con mentalità differenti, ma comunque sia umanamente simili. La musica unisce e fa sì che le persone scambino le loro esperienze, il loro vissuto, anche la loro storia. Berlino è la città che più è rimasta, rimane e rimarrà più vicina alla mia ricerca».
Come nasce il suo avvicinamento ai singoli generi?
«Tutto nasce sicuramente dall’istinto. Per quanto mi riguarda non c’è mai una ragione legata a qualcosa di pratico. C’è proprio l’istinto e la volontà di andare a cercare, di tirar fuori, magari dal passato, qualcosa che i giovani non conoscono o che io amo particolarmente realizzare perché so che ci sono sempre delle persone interessate a sentire delle musiche che riportano nella mente dei ricordi. Attraverso la musica si fa anche una ricerca umana, per cui canto anche canzoni di persone che hanno scritto dei capolavori, ma che sono totalmente sconosciute o addirittura anonime. Questo è in qualche modo, da parte mia, onorare persone che non hanno avuto voce».
Il palco dell’Ariston è un lontano ricordo oppure un palco dove tornare a proporre la sua musica?
«L’ho frequentato tante volte. Devo dire che in questo momento non è che sia interessata. Continuo con i miei concerti, con le cose che mi interessano che molto difficilmente si prestano a un Sanremo sempre più legato alla musica commerciale. Il festival è molto lontano dalla mia voglia di espormi da quel punto di vista».
Questa sera sarà in concerto nella Basilica di Santa Croce di Torre del Greco (Napoli) con lo spettacolo “Cattedrali”, che prende il nome dell’album pubblicato nel 2015.
«È uno straordinario luogo intimo dove le persone, credenti o no, possono venire per ascoltare il suono dell’organo prima di tutto, un organo liturgico che solitamente viene usato per le funzioni sacre. Il maestro Fausto Coporali, per l’occasione lo suonerà in maniera inusuale, completa. Tirerà fuori i suoni più interessanti e suggestivi. Ci sarà un percorso all’interno di queste musiche che sono sia antiche che contemporanee, infatti c’è anche l’Ave Maria di De André».
La sua estensione vocale le ha permesso di spaziare dalla musica sacra al jazz, dalla musica popolare al tango, dalla musica corale e bandistica a quella classica e contemporanea. Restando in tema di Cattedarli, come si è avvicinata alla musica sacra?
«È una musica che ho sempre ascoltato. La prima volta che ho sentito l’organo liturgico a Genova in una chiesa medioevale, mi sono resa conto di quanta bellezza ci fosse in quei suoni e in certi brani che venivano eseguiti. Da allora è nato il mio interesse personale pe la musica sacra, anche se poi ho proseguito con altri genere, fino al 2001 quando ho pubblicato “Sacra armonia” il mio primo album inerente alla musica sacra».