Edito da Ianieri Edizioni esce un nuovo romanzo della scrittrice abruzzese Cristina Mosca. Docente di lingua inglese ma anche in un qualche modo sensitiva della vita, sensibilità questa di innumerevoli prospettive. Ed eccole tutte al servizio di un romanzo dolcissimo e morbido, un volo a planare dove inevitabili scossoni arrivano senza sorprendere ma si rivelano ben incastonati nell’inevitabile pellegrinaggio di questa esistenza. La storia personale di due sorelle, l’ambientazione di casa propria, i continui percorsi a ritroso quasi alla ricerca di una spiegazione al perché delle cose che ci si ritrova a vivere. Un sentire la vita propria e quella degli altri attraverso la vita stessa, che diviene forse pelle per ognuno di noi. Una scrittura assai femminile in cui però si fa sentire la sofferenza per la mancanza di un editing importante che avrebbe restituito al romanzo una chiave di volta di ampiezza e potenza maggiore. Gusto cesellato solo e soltanto tra innumerevoli piccole cose descritte con un fare quasi segreto, sussurrato, nascosto: ed il risultato affascina e se ne resta colpiti nel sentire come la grandezza di questa vita diviene risultato di questo mare infinito di piccole cose. Un romanzo ricco di rumore che l’accettazione di se provoca a guisa di rivoluzione. Il dolore e poi la quiete in un finale aperto che ovviamente lascerà spazio al divenire di ognuno di noi. Una buona lettura. L’intervista per gli amici di MyDreams
“Con la pelle ascolto”: quasi un ossimoro nella sua funzione. Come nasce questo titolo?
«La pelle è la nostra prima barriera rispetto al mondo, ma anche la nostra antenna privilegiata. Siamo ormai così ricchi di sovrastrutture, che sembriamo non sapere più come aprirci; abbiamo difficoltà a stabilire rapporti elettivi, perché abbiamo difficoltà a scegliere chi non ci tradirà di fronte al dolore, a volte di fronte alla gioia. Forse, invece, se in alcuni casi smettessimo di pensare, sospendessimo il giudizio e ricominciassimo ad affidarci all’intuito, vivremmo meglio la Relazione: tanto con noi stessi quanto con l’Altro».
Un romanzo in cui la principale estetica è proprio il sentire tra gli uomini. In questo caso parliamo di due sorelle in particolar modo… e non solo ovviamente. Un romanzo di sensibilità e intime connessioni, non è così?
«Il primo titolo con cui ho pensato questo romanzo aveva a che fare con il silenzio. Penso che dovremmo ritrovare il coraggio dell’isolamento, non come stile di vita ma come momento per rintracciare noi stessi e tornare a corrisponderci. Solo così possiamo esporci all’Altro. Nel momento in cui ci poniamo in intimità, cioè in una condizione di ascolto, affrontiamo anche un rischio non indifferente: l’ascolto crea una breccia anche dentro di noi, la storia dell’Altro diventa la nostra storia e il suo dolore diventa il nostro. Solo se abbiamo una casa calda e accogliente, quindi, possiamo aprirla al passante infreddolito che ha bisogno di ristoro».
Inevitabile chiedere a Cristina Mosca: qual è il suo personale modo di sentire gli altri? Quanto di autobiografico esiste tra le pagine di questo libro?
«Cerco innanzitutto di ascoltarli, intanto con le orecchie e con gli occhi, perché essere ascoltati, in fondo, è quello di cui tutti noi abbiamo bisogno. Cerco di non avere fretta, di dare respiro agli incontri; di non dovere interrompere qualcosa per andare altrove. Cresciamo i nostri bambini nell’impressione che ci sia sempre qualcosa “di più importante” (di loro) da fare; in questo modo niente di importante resta. Quanto di autobiografico c’è? Tutto, ma è trasformato: il punto di arrivo, nella scrittura, raramente coincide con il punto di partenza».
A quanto sappiamo la gestazione del libro è stata lunga e farraginosa. Doveva avere il suo tempo e il suo spazio?
«Penso proprio di sì. Negli oltre otto anni di gestazione ho avuto la sensazione di lavorare a una grande lastra di marmo con una lima per unghie. Avevo davanti a me un lavoro complesso e una varietà di temi così vicini a me, che ho passato il tempo a cercarne la giusta distanza. Nel frattempo ho affrontato altri lavori di scrittura e alcune tappe pregnanti, come la laurea, il matrimonio e la maternità, che hanno contribuito ad allargare la visione d’insieme e a dare esperienza ai personaggi».
Continui i processi di flashback della protagonista. I suoi collegamenti al passato sono notevolmente determinanti per il presente che ci lasci scoprire pagina dopo pagina. Senza mai svelare nulla ti chiedo: dunque “Con la pelle ascolto” è anche un ascolto di memoria e di sensazioni e non solo, appunto, di pelle?
«Credo fermamente che siamo l’evoluzione di quello che siamo stati. Ignorare la memoria individuale, che, come le gocce con il mare, forma quella collettiva, equivarrebbe a ignorare il tempo che abbiamo passato, perdendolo per sempre. Penso che la memoria ci permetta di ricongiungerci agli aspetti più intimi di noi, rendendoci in qualche modo forti anche quando ci riporta a fatti sconvenienti o dolorosi. L’essere umano ha sempre desiderato sapere che la sua esistenza non è destinata a disperdersi insieme alle sue molecole. Si sostiene che esista una memoria che permane nei luoghi, nelle energie e anche nei geni. Il corpo ha una memoria. Queste memorie vanno ascoltate, registrate, custodite».
Per chiudere: una giovane autrice oggi nel mondo dell’editoria. La famosa frase: ci sono più scrittori che lettori. Uno sguardo sociale a questo mondo?
«Tutti riteniamo di avere una storia da raccontare e desideriamo renderla immortale: scripta manent. Siamo come invasi dalla paura di essere dimenticati, di non poter restare, per questo abbiamo tutti fretta di raccontarci. Uno scrittore dovrebbe essere prima di tutto un lettore. Mi piace ricordare che “nessun uomo è un’isola” e siamo tutti collegati. Ci sono risposte possono arrivarci in maniera inaspettata, anche da storie che inizialmente non hanno, all’apparenza, nulla a che vedere con noi. Attraverso la lettura di un libro possiamo reimparare a fidarci e ad affidarci: pratiche che nella quotidianità frettolosa e superficiale abbiamo un po’ perso di vista».