La sua hit Take Me To Church è nella mente di chiunque abbia acceso una radio, tv o Youtube negli ultimi 3 mesi. “Portami in chiesa/Sarò come un cane che adora l’altare delle tue bugie/Ti dirò i miei peccati e tu affilerai il tuo coltello”. Autore di emblematici versi come questi è Hozier, un irlandese di 24 anni, che nel 2010 ha lasciato il college musicale di Dublino per intraprendere una carriera da professionista.
In realtà Hozier è da un paio d’anni presente nel variegato mondo musicale del web, con il brano di punta dell’album che lancia questo mese in Italia, già cliccato e rivisto milioni di volte dall’estate scorsa. Poi il passaparola si è trasformato in fenomeno, fino ad arrivare in classifica in America e Inghilterra contemporaneamente. A febbraio Hozier sarà in lizza per i Grammy e Brit Awards per il titolo di canzone dell’anno. Mentre risponde alle nostre domande sorseggia tè caldo e non si scompone più di tanto dell’enorme attenzione che riceve in queste settimane dai media.
Come ti senti a essere in cima allo show business con una canzone così anomala?
«È eccitante e surreale, non avrei mai immaginato un successo simile. Il disco è stato registrato in un piccolo attico di Dublino e dopo me ne sono andato in centro in uno studio professionale a metterci le voci e la batteria. Non è stato fatto per essere un pop hit ma è successo e sono contento.»
Sai che il video ha toccato molte persone?
«È un video molto potente, la gente si diverte e si appassiona, piange perché ha dei riferimenti a delle violenze che commuovono. È un buon segno secondo me.»
Il tuo successo è partito dai social network, che rapporto hai con questi mezzi?
«Non ho nessuna intenzione di passar del tempo a farmi foto di me stesso, ma è molto vitale l’importanza e la penetrazione che hanno nelle nostre vite perché il potenziale scambio di idee è incredibile. Ognuno potrebbe fare il giornalista. Per questo dico che vanno usati per cose interessanti.»
Come definisci la tua musica?
«La chiamano indie-gospel, ma in realtà c’è anche molto soul e folk, che sono le cose che realmente ascolto nella vita. Una delle mie influenze maggiori è Tom Waits, poi c’è Nina Simone e Billie Holiday. Questi sono i riferimenti, assieme ai canti spirituals che mi hanno sempre affascinato, quando le voci umane si fondono in armonia succede sempre qualcosa di magico.»
Ti senti un artista di successo?
«Quando mi sono esibito al festival di Newport in Usa, visto che era il festival folk più leggendario dagli anni 50, mi sono sentito estremamente fortunato, è un luogo sacro per me. Se questo è il successo, allora sì. Molti mi dicevano che per un artista come me la cosa sarebbe cresciuta col tempo, forse nell’arco di 3 o 4 album, invece il mondo si è accorto di me prima.»
Di che parlano i brani del tuo disco?
«Non so se si capisce, ma Take Me To Church è in verità una canzone riferita al proprio partner, è una metafora la chiesa…infatti il testo funziona proprio perché è ironico secondo me. Poi c’è un’altra canzone, To Be Alone dove dico: Non mi sono mai sentito bene nelle folle. È proprio come mi sentivo quando è uscito Blurred Lines di Robin Thicke, mi sono detto che era il momento di scrivere qualcosa in risposta. In verità volevo dire la mia sull’esposizione degradante del ruolo della donna, ci sono tante canzoni che vanno in questo senso se ci fate caso.»
Cosa ti piace di più di questo lavoro?
«Non sono molto prolifico come avevo immaginato all’inizio, specie perché adesso che la carriera è partita, sarò in tour fino a febbraio 2016, con probabile tappa in Italia per festival estivi. Poi mi piace scrivere, usando anche il nostro humour irlandese, che è come uno sguardo pensieroso con un’ironia sottile. E mi attira molto dire le cose con onestà, anche in maniera mesta. La verità è che mi sento un autore prima di tutto, non ho mai voluto fare il performer, nemmeno da piccolo.»
Sei l’artista con più record d’ascolto su Spotify: sei tu che cambierai il music business?
«Non so quanto ho guadagnato da questi streaming a dire il vero, quindi non posso dire che è un nuovo business. Secondo me queste piattaforme sono fantastiche per la scoperta di nuovi artisti, se non ci fosse stato Spotify non starei qui a parlare con te.»