Sono veri rocker ma dediti alla melodia e al power pop, specie nei ritornelli. Con “Honest” i Kodaline, band irlandese al secondo album, hanno fatto centro nelle playlist radiofoniche di tutta Europa. E il loro album Coming Up For Air potrebbe snocciolare hit per tutto l’anno. Abbiamo incontrato il cantante Steve Garrigan (che ha scritto buona parte dei testi del disco) con Mark Prendergast (chitarra), Jason Boland (basso) e Vinny May (batteria).
Diteci anzitutto l’origine del nome Kodaline…
«È difficile spiegarlo perché anche noi non sappiamo bene cosa significhi, è un vecchio modo di dire irlandese ma anche un’espressione che si usa in ospedale quando la linea retta dei tracciati indica lo stato di morte. In verità avevamo varie idee e le abbiamo cercate su Google, ma speriamo che questo nome da ora in poi sia associato solo a noi.»
Come è nato Coming Up For Air? Sembra più rilassato rispetto al primo disco A Perfect World.
«Non abbiamo respirato per due anni e mezzo. Abbiamo deciso di finire il tour e prenderci tre mesi per fare le registrazioni con calma e ci siamo concentrati sul sound che volevamo, che è la cosa più difficile del nostro lavoro. La cosa più esaltante è che secondo noi abbiamo fatto un disco che è molto vicino al nostro gusto.»
E al gusto del pubblico non ci pensate?
«Ma certo, ci faceva piacere agli inizi quando suonavamo nei pub di Swords e le persone ci facevano i complimenti. Non possiamo piacere a tutti ma c’è una ragione per cui delle radio tipo Radio 1 a Londra ci hanno supportato tanto fin dall’inizio. Sono cose che ci danno sicurezza anche se i critici inglesi sono stati duri con noi. A volte sembra quasi che si sentano offesi dal dover ascoltare un nostro disco.»
E su internet come va?
«Siamo molto onesti e diretti con i nostri fans anche se sappiamo che è molto facile mascherarsi dietro uno smartphone per dire cattiverie. Ma non ce ne curiamo, siamo persone carine con tutti.»
Come vi siete conosciuti?
«Come band abbiamo poco più di tre anni anche se Steve e Mark si conoscono da ragazzini. Facevano skateboard assieme e andavano in un coro di bambini, quindi in qualche modo la musica li ha sempre uniti.»
Siete una band conosciuta molto per i live, non vi sentite fuori luogo in un momento in cui il successo si misura molto sui numeri che si fanno sul web?
«Mai pensato a questo. È gratificante esibirci dal vivo perché è solo così che la musica ritorna nelle mani del pubblico. Tutti hanno accesso a qualunque tipo di proposta ma vedere musicisti dal vivo è un’esperienza unica. E dobbiamo riconoscere che anche in tempi di crisi, specie in Irlanda, gli show sono continuati, nessuno si è mai sognato di rinunciare alla musica. Ora la situazione sociale in generale va meglio di qualche anno fa.»
E la scena irlandese se ne giova?
«Non sappiamo se noi siamo parte di una scena, ma c’è sicuramente una nuova ondata di artisti come Hozier o gli Script che tengono alto il nome del nostro Paese. L’industria è strana, se pensi che 5 anni fa c’erano tutte donne ai vertici delle hit come Adele o Amy Winehouse, ora sono tutti uomini, Ed Sheeran, George Ezra, Hozier.»
Avete avuto esperienze anche in grandi festival all’estero. Lo rifarete anche da noi?
«ensiamo di fare molti festival questa estate. Per noi è una sfida, perché il nostro tipo di musica schiera molti sostenitori ma è anche inviso a quelli più aggressivi. Abbiamo fatto un passaggio al mitico Tea In The Park e lì davvero sembra una zona di guerra, gioiosa ovviamente.»
I vostri testi rispecchiano la melodia della vostra musica o si ispirano ad altro?
«Vogliamo scrivere di come è bello avere una bella giornata, di come si possono enfatizzare le felicità del quotidiano. In un nuovo pezzo, The One, parliamo di una storia d’amore di una coppia di amici che è poi diventata la loro canzone da matrimonio. L’abbiamo eseguita nel loro giorno più bello ed è stato più emozionante che farlo davanti a uno stadio.»