Michele Placido torna dietro la macchina da presa con un nuovo lavoro cinematografico. Dopo “7 minuti, pellicola ispirata ad una storia realmente accaduta in una fabbrica tessile francese- l’attore, regista e sceneggiatore porterà sul grande schermo un film incentrato sulla figura di Caravaggio. Ospite al Social World Film Festival di Vico Equense, Michele Placido ha ricevuto il Golden Spike Award alla carriera e firmato il Wall of Fame, monumento al cinema che campeggia nel centro della città. Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.
Il suo prossimo film da regista sarà incentrato sulla figura di Caravaggio. Hai già scelto l’attore protagonista?
«Oggi abbiamo avuto la notizia che inizieremo a girare l’anno prossimo. Sicuramente il protagonista sarà italiano, ma al momento non posso dare altre anticipazioni perché stiamo ancora valutando e organizzando l’intero lavoro».
Come mai ha scelto Caravaggio? Che rapporto ha lei con l’arte?
«Il nostro lavoro è di occuparsi di grandi talenti nel campo della scrittura letteraria, della musica, della pittura. Nel film di Caravaggio, la nostra ricerca sarà basata anche sul mondo caravaggesco e sui quadri, ma non saremo così banali da far vedere mentre lui dipinge il quadro, questo non mi interessa. I quadri ci sono, si conoscono. Quello che farà parte del racconto sarà di far scoprire al pubblico come si arrivava a quella definizione della luce. Anche se ultimamente sono stati realizzati dei documentari, abbastanza belli, non viene fuori chi fosse realmente Caravaggio. Non lo sappiamo ancora neanche noi. Siamo all’inizio del percorso di scrittura in cui scopriremo delle cose sicuramente straordinarie di questo personaggio, che faranno sicuramente discutere molto sul piano della sua personalità».
All’inizio della sua carriera quali sono stati i suoi punti di riferimento?
«Ho avuto la fortuna di incontrare dei grandi maestri soprattutto a teatro, poiché sono nato sall’Accademia nazionale d’arte drammatica. De Sica sicuramente si può considerare il mio grande maestro. Non l’ho avuto, non ho mai lavorato con lui, però i suoi film mi hanno formato. Mario Monicelli è un altro grande regista, un grande uomo che per me è stato come un secondo padre. Mi ha insegnato la gioia di stare sul set, la felicità di essere partecipe di un mondo meraviglioso che è quello del cinema. Questi sono i due riferimenti più importanti».
Cosa ne pensa della situazione attuale del cinema italiano?
«In genere si parla male del cinema italiano. Personalmente credo che in questo periodo abbiamo una buona qualità di attori e siamo a un buon livello europeo. Infatti cominciano a lavorare anche all’estero, a partecipare ai film internazionali. Ricordo quando abbiamo fatto “Romanzo criminale” con Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino, Riccardo Scamarcio, Claudio Santamaria, questi attori dopo un anno dall’uscita del film hanno partecipato tutti in film internazionali. Questo sta a dimostrare che i nostri attori sono all’altezza della chiamata del cinema che va oltre i confini. Abbiamo registi come Sorrentino, Garrone e non solo, ci sono quelli di qualche anno in più. Ci sono dei giovani come Mainetti, un altro grande regista a mio parere. Quest’anno forse c’è stata una certa ripetitività di una commedia che non mi ha entusiasmato più di tanto, poiché si somigliano un po’ tutte, però credo che il cinema italiano stia bene».
Lei è stato uno dei primi commissari della televisione Italia. Cosa pensa dei nuovi commissari?
«Non voglio far polemica. Credo che ogni momento storico abbia il suo commissario. Diciamo che la rivoluzione del commissario Cattani, ha avuto dei grandi maestri di scrittura. In seguito è venuta un po’ a mancare quella qualità, quella attenzione. Diciamo che le piove di una volta scoprivano un mondo veramente inquietante, oggi sono un po’ annacquate, non hanno quella durezza di un tempo, non fanno nomi».
Ha all’attivo diversi film in veste di attore e regista. A quale si sente particolarmente legato?
«Come regista potrei dire “Romanzo criminale” perché è stato l’inizio di un percorso per tutto il cinema italiano. Ha dato vita ad attori straordinari ed è nato un filone come “Gomorra”, “Romanzo Criminale” per la tv e che ancora continua. Questo anche grazie alla produzione Cattleya che mi diede fiducia a dirigere quel film. Altro progetto è la serie “Suburra” che si è dimostrata di taglio europeo. Noi italiani non abbiamo paura delle serialità americane, a noi mancano i soldi, come in tante cose».
Cosa ricorda della sua interpretazione di Padre Pio?
«Di fronte al misticismo ho le mie emozioni, ma non le mie certezze. Nel senso che le stimmate, i miracoli, non mi interessano. Padre Pio è stato un grande uomo, e se gli uomini gli vogliono mettere una bella aureola, va benissimo, ci sta. Mia madre nutre un grande amore per Padre Pio. Lei ha una grande fede, ed è questa la grandezza di una figura come Padre Pio, che riesce a sostenere delle anime come quelle di mamma fino alla fine».
Qual è il suo rapporto con la città di Napoli?
«Nel periodo estivo porto in giro uno spettacolo teatrale che si chiama “Serata d’onore” in cui racconto la mia storia da ragazzo del sud, di quando mio padre nel 1954 portava tutta la famiglia a Napoli a fare la spesa. Napoli era il centro culturale di tutti noi del sud, adesso forse non lo è più. Mi sono formato moltissimo con il teatro napoletano, quello di Eduardo, pur non avendo mai recitato con lui. Una volta mi chiamò per fare uno spettacolo con lui, ma ero occupato con Francesco Rosi. Napoli, ora che sto leggendo e studiando Caravaggio, è la città più caravaggesca, che ha ancora qualcosa di autentico da dire».