Fino a qui tutto bene, nelle sale dal 19 marzo, è il secondo lungometraggio del regista Roan Johnson nato a Londra, cresciuto a Pisa, che vive a Roma, prodotto con la collaborazione degli autori, la troupe e gli attori, Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Silvia D’Amico, Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini, con l’amichevole partecipazione di Isabella Ragonese.
Il film prodotto con il supporto di D-Vision Italia, con la partecipazione di Regione Toscana – Toscana Film Commission, in collaborazione con Filippo Fabozzi e Associati sas e Studio Flu (ai sensi delle norme sul tax credit), che dopo la partecipazione al Festival Internazionale del film di Roma nella sezione Prospettive Italia, arriva al cinema il prossimo 6 novembre, distribuito da Microcinema. Vincitore del Premio del Pubblico BNL | Cinema Italia all’ultimo Festival Internazionale del Film di Roma, Fino a qui tutto bene racconta l’ultimo weekend insieme di cinque ragazzi che hanno studiato e vissuto gli anni dell’università nella stessa casa, dove si sono consumati sughi scaduti e paste col nulla, lunghi scazzi e brevi amplessi, nottate sui libri e feste all’alba, invidie, gioie, spumanti, amori e dolori. Ma adesso quel tempo di vita così acerbo, divertente e protetto, sta per finire e dovranno assumersi le loro responsabilità. Prenderanno direzioni diverse, andando incontro a scelte che cambiano tutto. Chi rimanendo nella propria città, chi partendo per lavorare all’estero. Il racconto degli ultimi tre giorni di cinque amici che hanno condiviso il momento forse più bello della loro vita, di sicuro quello che non scorderanno mai. Chi ha studiato lontano da casa, condividendo alloggio, letto, frigo, feste, notti a studiare e a far bisboccia, esami, alzatacce, amori piccoli, grandi, carnali, e soprattutto la voglia di sfidare limiti, crisi e raccomandati, preparandosi ad entrare nel mondo del lavoro, potrebbe anche ritrovarsi nell’atmosfera che anima Fino a qui tutto bene e i protagonisti del film diretto da Roan Johnson. Un viaggio nell’ultimo weekend di cinque amici che, dopo aver condiviso vita e studi, gioie e dolori, letti e bagno, si preparano a restare, partire ed assumersi quelle responsabilità arginate dal periodo ‘dei gioghi divertenti’ che sta per finire.
Spiega Roan Johnson: «Nel 2013, all’opera seconda dopo I primi della lista, l’Università di Pisa mi chiede di fare un documentario e mi sorprendo ad ascoltare ragazzi che, anziché lamentarsi per la crisi, dimostrano un atteggiamento di sfida. Di rilanciare, piuttosto che arrendersi. Per questo, quando ci è venuta l’idea per raccontare la fine di quel periodo protetto e acerbo, anziché seguire il classico percorso che ci avrebbe portato a sentirci dire che avremmo dovuto aspettare, che i soldi erano finiti, che avremmo dovuto scendere a compromessi produttivi, abbiamo deciso di fare da soli, di non arrenderci, di puntare in alto. Per quanto riguarda gli attori, dico che sono stati bravissimi perché di improvvisazione in realtà c’è stata davvero molta poca roba e la loro naturalezza è dovuta essenzialmente alla loro bravura. Questo film sull’amicizia è stato fatto grazie agli amici, alcuni professionisti del settore, altri semplicemente amici. L’organizzatore era il proprietario di una libreria, il data manager uno stagista del Tirreno, la segretaria di edizione era la sceneggiatrice e mia compagna, incinta di cinque mesi. Avevamo un solo macchinista/elettricista, una sola costumista/scenografa. Con questa “Armata Brancaleone” siamo stati liberi di fare un film che ci apparteneva. Gli attori dormivano nella casa dove giravamo così diventavano davvero coinquilini. Questo clima ci ha fatto diventare i personaggi del film: gli attori indossavano i loro veri vestiti, le stanze erano le loro, e quando abbiamo dovuto lasciare quella casa, avevamo tutti davvero un groppo in gola.»