Estate rovente per gli Psycopathic Romantics, l’eclettica band italo-americana, di formazione folk-rock cavalca in lungo e largo con il Bread and Circuses Summer 2015. Dal Libertine Cafè Boutique di Campobasso, fino alla tappa del Giffoni Film festival, passando per il Caffè Retrò di Pietramelara, La Cabina 56 di Torre Annunziata ed il Rock’n’ Blues di Casapulla, proseguendo poi ad agosto presso il Bistrot Masulli di Marigliano, il Mediateca Arte di Cava De Tirreni ed il Concerto in Piazza a Squille. Non c’è che dire, gli Psycopathic Romantics stanno animando ferividamente l’estate in corso, portando in diffusione il lavoro discografico Bread and Circuses, firmato Freakhouse Records. Un momento davvero movimentato ed è in questa congiuntura “hot” che abbiamo rapito un attimo di interscambio con la band in calda impennata.
Una natura ibrida la vostra; quanto si riflette nel sound che “partorite” il rapporto tra Italia e America, soprattutto la matrice Campana?
«Il background di tutti noi è fondamentale nella definizione del nostro sound. E certamente l’impronta di Mario ‘Dust’, voce, autore e mente della band, è molto caratterizzante. Cresciuto negli States, è ritornato in Italia con un bagaglio culturale intriso di tradizione d’oltreoceano e carico di una discreta varietà di ascolti, tutti di matrice americana o comunque anglofona, dai Pink Floyd ai R.E.M., da Beck ai The Clash, da Springsteen ai Ramones. L’esperimento che abbiamo provato a fare tutti insieme, e che è il vero motore del nostro gruppo, è stato quello di far interagire quel tipo di formazione con la tradizione più tipicamente mediterranea (in particolare quella italiana meridionale) attraverso l’utilizzo di alcuni strumenti peculiari della nostra regione, come la chitarra battente in ‘Extra special needs guy’ (una delle tracce del nostro ultimo disco, “Bread and Circuses”), oppure come la tammorra, il mandolino e il bouzouki che usiamo, rivisitandoli, nel nostro setup live. Sempre nell’ultimo album, proprio a sottolineare questa forte volontà di sincretismo col territorio e di confronto con le consolidate realtà musicali locali, abbiamo realizzato una collaborazione/contaminazione con il rapper napoletano Rob.Shamantide (Ganjafarm Cru) – che ci teniamo ancora a ringraziare – nel pezzo ‘Up and Down’.»
Com’è nato il vostro incontro? L’idea di metter su una band dando forma agli Psychopathic Romantics, un nome d’arte intricato ed intrigante?!
«Io (Vincenzo Tancredi, basso) e Mario La Porta (‘Dust’, chitarra e voce) ci siamo conosciuti nel 2003, suonando insieme in una cover band. Insoddisfatti da quell’esperienza e col desiderio di dare vita ad un progetto originale, abbiamo lasciato la band nel 2005 ed iniziato a lavorare su alcuni brani che nel frattempo avevamo abbozzato. Poco dopo, Filippo Santoiemma e Augusto De Cesare (allora solo in veste di chitarristi) si uniscono a noi.Quanto al nome, l’aneddoto è davvero simpatico. Ci trovavamo a Roma in cerca di location dove poter suonare. Tutti ci chiedevano, giustamente, “che genere fate?”. Ma a noi la domanda non piaceva tanto, all’epoca avremmo voluto soltanto suonare, senza dover dare troppe spiegazioni. Decidemmo di rispondere in maniera atipica, ovvero con la formula “noi facciamo psychedelic-romantic-rock”. Funzionò, anche se psychedelic ci sembrava troppo demodé. Naturalmente scherziamo, cambiammo l’aggettivo in ‘psychopathic’ perché ci piaceva l’idea di dare un’immagine ossimorica al nome, anche perché avrebbe rispecchiato quelle che sono le contraddizioni che ci sono in noi quattro singolarmente, nel gruppo ma anche, in generale, in tutti noi.»
La scelta del vostro stile mi rimanda ai Blues Brothers, sebbene non c’entri nulla con il vostro genere musicale. Può esserci ad ogni modo un richiamo? Se non a questa ad un’altra band che ha fatto epoca?
«Hai assolutamente azzeccato! Il tuo è un esempio più appropriato di quanto possa sembrare. Moltissime volte noi stessi ci siamo riconosciuti nell’atteggiamento dei BB e nel loro approccio alla vita. Anche a noi è capitato di vivere innumerevoli situazioni paradossali in questi anni in cui abbiamo suonato insieme. Per esempio, racconto ai vostri lettori un aneddoto che quasi mai raccontiamo, che fa molto BB: l’attuale setup live, molto acustico, più essenziale che in passato, è sicuramente dettato da esigenze musicali e stilistiche, ma una parte importantissima in questa scelta è stata giocata dal mio passaggio personale (per cause di forza maggiore) da una comoda station wagon a una meno capiente utilitaria, con le immaginabili conseguenze: la riduzione al minimo dell’attrezzatura da portare in tour!»
È in dirittura di partenza un momento ricco di performance…tappa d’eccellenza, il Giffoni Film festival, che effetto fa?
«Sì, stiamo suonando molto ed in contesti sempre migliori. Questo ci fa ben sperare e ci dice anche che stiamo lavorando bene. Sicuramente esibirci a Giffoni per il Giffoni Music Concept è stato un momento di grande soddisfazione prima ancora che di emozione: è un palco prestigioso, all’interno di una rassegna, il Giffoni Film Festival, che è un punto di riferimento di livello internazionale e siamo onorati di averne preso parte. Ma non siamo che agli inizi! Il nostro “Bread and Circuses Summer tour 2015”, che vi invitiamo a seguire, continua fino ad agosto inoltrato! Ne approfittiamo per invitarvi a seguire anche la nostra pagina facebook, sempre aggiornata con le ultime novità!
Bread and Circuses è un lavoro intrecciato di ritmi tipicamente e deliziosamente folk- country. Da dove parte il motivo ispiratore di quest’album e qual è il messaggio che intendete portare in “circolo”?!
«Dopo il tour relativo all’uscita del precedente album “Pretty Prizes” nel 2010, abbiamo vissuto intense esperienze personali e lavorative. Abbiamo toccato con mano il continuo peggiorare della situazione globale e di quella italiana in particolare. Ci siamo anche accorti di come tutti noi, contemporaneamente, ci siamo sentiti quasi anestetizzati, sicuramente scoraggiati o, peggio ancora, assuefatti dinanzi a tale condizione. Per quasi due anni si può dire che non abbiamo praticamente mai suonato live. Abbiamo registrato e provato nella nostra sala prove a Squille al punto da ritrovarci moltissimo materiale inedito. Parte di quel materiale, insieme ad altre novità come le collaborazioni in due brani, quella con il già citato Rob.Shamantide in “Up and Down” e quella con Amaury Cambuzat (Ulan Bator, Faust, Chaos Physique, Acid Cobra) in “H.ash”, ocome l’inserimento di alcuni brani suonati in modalità ‘live’ (proprio perché ci è sembrato giusto testimoniare ancora meglio anche su disco l’evoluzione del nostro sound), è confluito in “Bread and Circuses”.
L’album è uscito a fine aprile su etichetta Freakhouse Records ed è stato distribuito in free download (avete capito bene, gratis!) sulla pagina Bandcamp della nostra etichetta (Clicca qui).
Le canzoni parlano proprio di noi quattro e del nostro modo di percepire le cose. Ci sono canzoni di denuncia della condizione dell’uomo moderno. Il titolo, infatti, è un riferimento esplicito al famoso detto latino “Panem et circenses” col quale, già allora, veniva descritta la ricetta per “tenere a bada” un popolo, dandogli un po’ da mangiare e qualcosa per distrarlo! Detta così, i nostri testi possono sembrare pesanti, in realtà sono molto ironici e vi invitiamo a leggerli per averne conferma. E’ vero, sono in inglese (la lingua in cui ‘Dust’ riesce ad esprimersi al meglio) e questo a noi italiani fa di solito storcere il naso, ma stiamo cercando di rimuovere qualsiasi distanza in tal senso: nel libretto dei testi del nostro album ci sono anche le traduzioni e su Spotify abbiamo inserito tutti i testi delle canzoni. Niente scuse, quindi: buon ascolto!»