Debutta in prima nazionale lo spettacolo Tutti i padri vogliono far morire i loro figli, della compagnia CK Teatro, testo di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi, che ne cura anche la regia, liberamente ispirato ad Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. In scena, dal 12 marzo al 3 aprile nella Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio, Irma Ciaramella, Anna Favella, Chiara Mancuso, Luca Mannocci e Mauro Santopietro.
Lo spettacolo narra le vicende di una famiglia, e dell’incontro-scontro di un padre con suo figlio. L’ambientazione è l’epoca moderna, ma una modernità che si pone come lettura di un presente che poggia le sue basi su nuovi archetipi. Proprio per questo si è sentita l’esigenza di prendere spunto dalla struttura narrativa di Affabulazione ma di mutarne completamente i contenuti; infatti mentre il testo di Pasolini iniziava con un coro tragico rappresentato dalla figura di Sofocle, nella riscrittura di Tutti i padri vogliono far morire i loro figli il coro sarà rappresentato dall’ombra di Pasolini, e l’archetipo che narrerà non saranno le vicende tragiche e mitiche di Edipo, ma il racconto del ’68! Proprio i temi del ‘68 costituiscono la cornice entro la quale tutti personaggi agiranno. Le tensioni tra i vari personaggi saranno provocate da una divergente lettura di questi temi che procurerà ferite insanabili soprattutto tra le due figure chiave dello spettacolo: il padre e il figlio.
Siamo in una casa al mare, una casa da buona famiglia borghese, dove vivono un ragazzo con sua madre. L’azione dello spettacolo ha inizio con il ritorno del padre, dopo quindici anni di silenziosa assenza. Un padre che dichiara di essere molto malato, e che prima di morire vuole ricucire il rapporto con suo figlio, che in realtà non ha mai conosciuto. Il padre ci appare come un uomo dal grande vissuto, che ha sempre preferito la libertà alle responsabilità, e che grazie al suo lavoro, fotografo, si è trovato spesso a vivere i momenti più importanti della storia degli ultimi trent’anni. Lui, fiero protagonista del ’68, animato dagli ideali libertari, si troverà a scontrarsi ferocemente con suo figlio, al quale il padre appare come un bambino mai cresciuto che nella vita ha goduto di situazioni estremamente privilegiate e di cui lui, figlio, in qualche modo paga ancora le conseguenze. Nella dialettica tra questi personaggi e nelle istanze che essi rappresentano sta il nucleo di questa tragedia moderna, che ci appare come un infinito affabulare sul doloroso e irrisolto mistero dell’essere figli nell’epoca dell’assenza dei padri.
Dal 17 al 29 marzo al Teatro dell’Orologio di Roma Fondazione Teatro Due presenta Lungs di Duncan Macmillan.
In un’epoca di ansia globale, terrorismo, incertezza climatica e instabilità politica, una giovane coppia inizia la fatidica discussione sull’avere o meno un bambino, in un tempo serrato che non lascia spazio neanche al respiro. A pensarci troppo su, si finisce per non farlo più; ad affrettare la decisione al contrario si potrebbe incorrere in un disastro. Avere un bambino è una scelta da farsi per le giuste ragioni, pensano M. e W.; ma quali sono esattamente queste giuste ragioni? Si delinea così un ritratto attuale e ironico di una storia d’amore qualunque, spiazzante e brutalmente onesta, divertente e tagliente, che dà voce a una generazione per la quale l’incertezza è un modo di vivere, un ambiente liquido in cui fluttuare in due.
La nuova drammaturgia inglese, la coppia contemporanea, l’etica ecologica dei nostri anni, due giovani interpreti talentuosi, una scena nuda e battute a perdifiato: ecco gli essenziali elementi di Lungs, che ha debuttato a Washington per poi essere presentato al National Theatre di Londra, richiamando una grandissima attenzione per l’originalità della scrittura e della struttura drammaturgica. Attraverso una successione vertiginosa di dialoghi, che riproducono con virtuosistica esattezza il parlato, Macmillan ci conduce lungo le stazioni di una relazione amorosa che diventa una finestra sulla contemporaneità.
Il palcoscenico spoglio permette alla macchina scenica, diretta con la consueta efficace essenzialità da Massimiliano Farau, continui salti nello spazio e nel tempo, e consegna al pubblico la nuda dinamica del discorso amoroso.
“Che cosa accade all’istinto in un’epoca dominata dall’incertezza, dalle catastrofi ecologiche, dalla crisi globale?” – scrive Massimiliano Farau, regista – “Macmillan, si pone la domanda attraverso le voci di questa giovane coppia, eticamente rigorosa, determinata a fare la scelta giusta. Ma difronte alla loro coscienza, il primo dubbio che sorge nell’ascoltatore è se questa non copra la paura di diventare adulti, di confrontarsi con un impegno definitivo che richiede di amare un essere che ancora non esiste. È questa l’incertezza più radicale nei protagonisti; la loro capacità di amare però, scopriranno e scopriremo, è più grande e tenace di quanto potessero immaginare”.