“Era giovane e aveva gli occhi chiari” è il film scritto e diretto da Giovanni Mazzitelli, una trasposizione del suo omonimo romanzo mai pubblicato. Sceneggiatore di “Vitriol” nel 2011 e regista del film documentario “Solving” nel 2014, Giovanni Mazzitelli – classe 1986 – torna sul grande schermo con “Era giovane e aveva gli occhi chiari”, realizzato e prodotto da Cinemafiction, in uscita nelle sale il prossimo 29 marzo. La pellicola risulta essere tra i film italiani più premiati all’estero dall’inizio dell’anno, ricevendo diversi premi e riconoscimenti, dal MEDFF al San Rafael Film festival di Los Angeles, dal Worldfest Awards al Red Corner Festival e al Carribean Sea International Film Festival, con grande soddisfazione di chi ha creduto e investito in questo progetto. A pochi giorni dall’uscita nelle sale di “Era giovane e aveva gli occhi chiari”, abbiamo incontrato e intervistato il regista e sceneggiatore Giovanni Mazzitelli.
Era giovane e aveva gli occhi chiari, una pellicola nata dal tuo omonimo romanzo, mai pubblicato. Come mai hai deciso di realizzare un film?
«In realtà trovavo che fosse una sorta di diario intimo e quindi non mi è mai venuta l’idea che qualcosa di privato, per quanto potesse essere affascinate, avesse le capacità di poter essere trasportato in un prodotto filmico. L’ho tenuto da parte per un anno, fino a quando ho notato che le persone che lo leggevano, riscontravano un forte potenziale cinematografico. Era molto simile ad un progetto che volevo realizzare anche nel 2012, se non altro come messa in scena, tipologia di personaggi, come vicissitudini raccontate, che però si chiamava “Il pinguino innamorato” ed aveva tutt’altri personaggi, un impianto esclusivamente cinematografico, quindi non veniva da un romanzo. La scelta di realizzare un film tratto dal mio omonimo romanzo “Era giovane e aveva gli occhi chiari” è avvenuta un po’ per l’impressione dei colleghi e un po’ per essermi legato a dei produttori come quelli della Cinemafiction, che hanno pensato che potesse essere una buona idea produrre questo progetto, spinto dal mio entusiasmo e dal fatto che volessimo entrambi realizzare un progetto di formazione, all’interno del quale non ci fossero persone del settore già estremamente formate, ma una serie di giovani professionisti alla loro prima esperienza di lungometraggio, provenienti dalla scuola di recitazione della Cinemafiction e dal master di cinema e televisione del Suor Orsola Benincasa».
Cosa racconta il film?
«Il protagonista all’inizio del film si chiede come dovrebbe essere vissuta la vita. Se bisogna vivere di estremi per poter provare delle emozioni forti, quindi la felicità. In una notte d’inverno incontra casualmente una donna molto affascinante e attraverso questo percorso, questa donne vivrà sette mesi della sua vita in maniera molto estrema, il tutto coadiuvato da un grande senso di visione surreale che ha lui della vita, in cui si interfaccia con alieni immaginari, persone anziane che sembrano avere il grilletto facile, insomma tra il reale e il surreale si svolgono questi sette mesi della sua vita e solo alla fine di questo periodo lui riesce a capire come deve essere vissuta la vita».
Quanto c’è di te in questa storia?
«Nel romanzo c’era tutto me stesso, nel film per una necessità di trasposizione ovviamente delle cose sono state rese più adatte alla trama. Abbiamo cercato di inserire una sottotrama estremamente lineare dove questo personaggio negativo che influenza il protagonista svolge un chiaro percorso, in cui cerca di portare il nostro protagonista agli estremi. Tutto quello che è stato creato nella costruzione del personaggio femminile, ovviamente non mi appartiene. Mentre invece la passione per gli animali, la presenza della figura importante della nonna, oppure la passione per il tennis, sono degli aspetti della mia vita che mi contraddistinguono. Nel romanzo c’era tanto, nel film di meno, ma nonostante tutto si avverte una grande autobiografia in alcuni punti perché mi piaceva ritoccare alcune parti della mia infanzia».
In quanto tempo è stato realizzato? In quali città avete girato?
«Le riprese sono durate un mese, poiché essendo un progetto di formazione doveva rientrare in tempi stabiliti. Il film è stato girato a Roma, Vietri, Miseno, Cava de Tirreni, Eboli, Portici, Ercolano e Napoli».
Vitriol, Solving, oggi Era giovane e aveva gli occhi chiari. Cosa rappresentano questi tre lavori? Quanto sei cambiato negli anni?
«Noi siamo quello che facciamo. Inevitabilmente sono rappresentato da questi tre progetti, che hanno delle personalità importanti. Il cambiamento è arrivato con quest’ultimo progetto. Se nei precedenti c’è stata una sperimentazione, una crescita dal punto di vista del gruppo, un lavoro che forse mi apparteneva di meno, “Era giovane e aveva gli occhi chiari”, con una tematica molto vicina a quello che per me rappresenta il cinema, ha sicuramente segnato il film della maturazione. Ritengo che un regista inizi la sua maturazione a 30 anni e la concluda a 50. Negli anni sono cambiato tanto, ma soprattutto penso di aver raggiunto una fase inziale di una maturazione che vedrà un prosieguo artistico, linguistico, del mio essere regista».
Stai già pensando ad un nuovo film?
«Ho trovato l’idea da circa un anno. Ho già raccolto abbastanza materiale. Proverò a fare degli studi più approfonditi la prossima estate all’interno delle location dove girerò e dove ho intenzione di ambientare la storia. L’idea c’è, ma non ci sto ancora lavorando. L’unica cosa che posso dire è che sarà ambientato in una scuola, ma non posso dire altro».