A volte ci sono progetti artistici che hanno tempi lunghi di maturazione perchè sono come il vino pregiato che più attende in botte più matura la sua bontà gustativa ed olfattiva e poi invece ci sono a volte progetti artistici che ci mettono anni per venire alla luce perchè si sperimentano forme ardite che non sempre scaldano il cuore come un buon vino. Eternapoli, titolo altisonante come altisonante era la composizione artistica che lo sorreggeva; musiche originali di Fabio Vacchi, testo di Giuseppe Montesano, voce recitante di Toni Servillo, orchestra e coro al completo del teatro di San Carlo, non ha retto a tale altezza, nè musicalmente con i suoi contrappunti di stridori mischiati alle tammorre e triccheballacche in suoni a volte spettrali e di una noia ammorbante, nè testualmente nella parte cantata dal coro con ripetizioni di frasi di una banalità imbarazzante. L’anfitrione Servillo, ispiratore del melologo, nelle vesti del imbonitore di masse Calebbano che traveste la menzogna in salvezza, che tramuta l’intera città in un parco tematico Neapolis Dreams, con lo scopo di rendere uomini liberi degli schiavi illusoriamente felici e di compiere la trasformazione del brutto in bello e viceversa, con la sua bravura può reggere l’attenzione del pubblico anche recitando l’elenco telefonico, ma questo non può bastare a rendere poesis ciò che poesis non è ed è un peccato perchè quel narcisismo assoluto e bugiardo che recita perpetuo sugli schermi digitali e che l’opera vuole in qualche modo denunciare e smascherare se ne fa invece così complice, relegando solo alla fine e con voce flebile una donna a simbolo del corpo della città – mondo che chiama alla speranza. Se, com’è scritto nel programma di sala, “noi dobbiamo chiedere all’arte qualcosa che va aldilà dell’arte – perchè – saremo giudicati sull’amore (Juan de la Cruz poeta e santo spagnolo)”. Questo qualcosa all’aldilà dell’arte che ci avvicina alla legge (questa si che è) eterna dell’Amore in sala non è arrivato e il coro finale che sembrava la voce delle anime del purgatorio, quelle anime ‘pezzentelle’ che da sempre sono custodi del Anima Mundi della città, è parso un requiem all’inutilità di denunce in musica di un mondo vuoto che ormai è già e lo si sgretola soltanto riempiendolo di nuovi contenuti di vera e vibrante Bellezza.
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