Riecheggiano i suoni della Sicilia nell’album “Il gusto dell’ingiusto” della cantautrice Beatrice Campisi, presentato con un concerto presso lo Spazio Musica di Pavia a cui ha preso parte il cantautore e produttore statunitense Jono Manson. Il titolo dell’album, “Il gusto dell’ingiusto”, trae ispirazione dal secondo libro delle ‘Confessioni’ di Sant’Agostino”. Beatrice Campisi propone il suo album d’esordio, prodotto da Cobert Edizioni Musicali (Ultra Sound Records) e Jono Manson in collaborazione con MIBACT e SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “S’illumina-Copia privata per i giovani, per la cultura”. La cantautrice siciliana osserva i due aspetti dell’animo umano, attraversando la lotta interiore e il rimpianto, seguito dal desiderio di riscattarsi per poi rinascere. Interpreta 12 brani intrisi di passione, contaminati dai generi blues, swing, musica popolare e canzone d’autore. L’ascoltatore si ritrova, così, proiettato in un mondo surreale e suggestivo, reso ancora più affascinante dall’incredibile voce della Campisi.
“Il gusto dell’ingiusto” è il titolo del suo disco realizzato insieme ad eccellenti musicisti. Cosa rappresenta per lei dal punto di vista artistico questo album?
«“Il gusto dell’ingiusto” rappresenta il punto di arrivo di un percorso iniziato ormai otto anni fa in Sicilia, che non vide mai la luce a causa impedimenti non dipendenti dalla mia volontà, ma che oggi esce nella sua forma più matura e rinnovata. Il disco è stato registrato con la collaborazione di prestigiosi musicisti. Lavorare fianco a fianco con artisti di questo calibro, provenienti da mondi musicali eterogenei, ha rappresentato per me un’opportunità di confronto e crescita sia dal punto di vista professionale sia da quello umano. Ogni musicista ha messo parte di sé in questo progetto. Ciò ha reso possibile l’accostamento inusuale di strumenti afferenti a mondi musicali diversi come la chitarra classica e quella elettrica. Coinvolgere un gran numero di musicisti ha portato dunque a una mescolanza di stili e sonorità. La linea rossa dell’album è caratterizzata infatti dalla contaminazione dei generi blues, swing, musica popolare, canzone d’autore che si fondono in uno stile personale. Alla sezione di base composta da voce, pianoforte, contrabbasso/basso e batteria, si aggiungono hammond, rhodes, chitarra classica, acustica ed elettrica, clavicembalo, arpa, fisarmonica, armonica, archi, fiati (in particolare si ricorda la collaborazione con il mitico sassofonista Antonio Marangolo) e percussioni. In altre parole questo progetto è frutto di sperimentazione e grande intesa fra tutti i partecipanti, e per questo rappresenta una tappa, sicuramente importante, di un percorso più grande, un arrivo che è al tempo stesso partenza».
“Avò” è un brano intenso che rivive un ricordo e un dolore lacerante di una violenza nei confronti di una donna. Come cantautrice e come donna da quali sentimenti è stato pervaso il suo animo, da spingerla a rievocare questa triste storia?
«Più che di una rievocazione si tratta proprio di una scoperta. Una persona a me molto cara ha voluto rivelarmi questo doloroso segreto. Da quel momento la mia prospettiva è mutata; ho guardato all’intero percorso della mia vita con occhi nuovi, consapevoli. Per la prima volta mi sono sentita toccata direttamente dalle violenze di cui ogni giorno si sente parlare ai TG. Percepire così vicina questa terribile verità mi ha sconvolto. Ho trascorso molti giorni nell’incredulità e nel silenzio. Poi una notte mi si è acceso un fuoco dentro e ho vomitato tutto il mio turbamento nel testo di “Avò”, un brano nel quale la lacerazione interiore diventa uno sprone per rialzarsi, un motivo di rinascita. Il germe di speranza con cui ho deciso di chiudere il pezzo rappresenta un invito a tutte le persone che soffrono in silenzio a liberarsi dei loro pesi, ad andare avanti, a uscire dal proprio bozzolo di oscurità e indifferenza e finalmente germogliare».
Il brano introspettivo “I contorni dei ricordi” accompagna l’ascoltatore nei luoghi della memoria. Quanto c’è di Beatrice in questo pezzo?
«Sono affetta da un senso di nostalgia perenne e, da buona antichista, sono letteralmente ossessionata dal passato. I luoghi della memoria rappresentano dunque la mia dimensione naturale e prediletta. Credo fermamente che ciascuno di noi sia figlio delle proprie esperienze: ciò che sperimentiamo è quello che siamo. La memoria è il sunto della nostra storia, per tale motivo non può mai essere relegata in un angolo oscuro, al contrario deve essere il contenitore delle nostre azioni, la maestra che ci insegna come muoverci nel cammino tortuoso e imprevedibile della vita».
“Via Quieta” è un valzer coinvolgente che potrebbe essere una perfetta colonna sonora di un film ambientato negli anni ’40. Come nasce musicalmente?
«Come la maggior parte dei miei pezzi, “Via Quieta” nasce piano e voce. Avvertivo però la mancanza di qualche elemento, così ho chiesto aiuto ai miei fidati collaboratori. Rino, il contrabbassista del mio gruppo, è stato il primo a darmi l’idea del clavicembalo. A quel punto però bisognava trovarne uno! Il caso ha voluto che Alice, la mia violinista, conoscesse un organista in possesso di un clavicembalo. Non appena ho sfiorato questo incredibile strumento sono letteralmente impazzita e ho subito immaginato un arrangiamento giocoso ed eccentrico con archi e clavicembalo».
“Luna Lunedda” è stato scritto interamente in dialetto siciliano. I suoni, gli odori, le tradizioni della sua terra sembrano essere vitali per la sua ispirazione artistica.
«L’eco delle radici sicule è sempre presente nella mia musica. “Luna lunedda” in modo particolare raccoglie le voci dei miei antenati. Mi è sembrato di leggere nelle loro storie un filo conduttore unico, universale ed eterno, un andamento ciclico che riporta la mia stessa vita a quella dei miei avi. Lo status di “isolano” rappresenta il centro di questo cerchio, dal quale emerge un senso di nostalgia e solitudine, accompagnato dal bisogno di non perdere le radici».
“Il gusto dell’ingiusto” è stato prodotto in collaborazione con MIBACT e SIAE. Quanto la gratifica?
«Stringere il proprio album fra le mani è una grande soddisfazione, soprattutto se una istituzione come la SIAE e i giornalisti di fama nazionale presenti in giuria hanno ritenuto meritevole questo progetto. Sicuramente mi gratifica molto questo traguardo, d’altra parte cerco di guardare sempre avanti a nuove esperienze».
Quale valore hanno avuto le collaborazioni con gli altri colleghi musicisti e cantautori?
«Ho avuto l’onore e il piacere di collaborare con grandi artisti per realizzare questo progetto. Pur avendo scritto e composto tutti i pezzi contenuti in questo album, mi sono spesso affidata ai consigli sapienti di colleghi esperti. Non posso non citare Claudio Lolli, che ha prestato la sua voce per recitare un passo delle Confessioni di Sant’Agostino, dal quale prende il nome questo album. E poi Mirco Menna, Davide Di Rosolini, Eugenio Piccilli, Riccardo Maccabruni. Una menzione speciale va a Jono Manson, che oltre ad aver mixato e masterizzato il CD nel suo studio a Santa Fe in New Mexico, ha offerto il suo aiuto prezioso nella scelta dei suoni e degli arrangiamenti».