Alessandro Gassman il 6 dicembre arriva nelle sale con, Il Premio, suo secondo film da regista in cui lo vediamo anche nel ruolo da protagonista, insieme allo straordinario Gigi Proietti, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Matilda De Angelis, Marco Zitelli, Erica Blanc e Andrea Jonasson. Una delle curiosità sulla lavorazione di questo film è stata la lettura del copione seduti intorno a un tavolo, come si fa per preparare una commedia teatrale, discutendo sui vari personaggi e facendo prove di recitazione e di aver chiesto a Gigi Proietti di imitare un po’ il padre Vittorio in questo film, ma Proietti ha una sua unicità. Il Premio è stato proiettato in anteprima a Sorrento, alle Giornate Professionali di Cinema.
Un’altra prova da regista…
«Tengo moltissimo a questo film, mi appartiene più degli altri perché racconta una storia che assomiglia alla mia, anche se non lo è. Il film fa ridere e mi auguro anche di far arrivare delle grandi emozioni. Il protagonista centrale, che tutti conoscono e fa un’interpretazione, a mio modestissimo parere, straordinaria, è Gigi Proietti. Nel film ci sono anch’io, Rocco Papaleo, Anna Foglietta, Erika Blanc, Andrea Jonasson, Matilda De Angelis, Marco Zitelli, c’è un grande cast ed è un viaggio di duemila km in macchina da Roma a Stoccolma. Giovanni Passamonte, il protagonista interpretato da Proietti, ha vinto il premio Nobel e deve andare a ritirarlo, ha paura di volare e costringe i suoi sottoposti, il figlio e il suo segretario personale, Rinaldo, interpretato da Rocco Papaleo, a condurlo in macchina e questo viaggio cambierà per sempre le loro vite.»
Com’è stato dirigere Gigi Proietti, un grande artista che in passato imitava goliardicamente tuo padre?
«Mio padre considerava l’imitazione di Gigi la migliore, in realtà, erano molto amici e non potevo non chiedere a Gigi Proietti di interpretare un personaggio che, in qualche modo, ricorda la figura di mio padre. In questo film non è mio padre, è un’altra storia, Gigi interpreta un letterato illustre, molto importante, internazionale e sono tante le sorprese in questo lungo viaggio, ma la più grande sorpresa è l’interpretazione di Gigi. Un personaggio lontano da quelli interpretati fino ad oggi, ha smontato la sua macchina straordinaria di maschere, di voci, d’imitazioni, di suoni, per regalarci un personaggio credibile, sincero e toccante. Voglio ancora ringraziarlo per il lavoro fatto e la fiducia data, insomma, dirigere una macchina attoriale perfetta come lui non era semplice, ho preso coraggio e mi ha aiutato moltissimo e lo ringrazio.»
Com’è andata, invece, con Rocco Papaleo?
«Questo film parla di rapporti tra padre e figli, fa vedere posti bellissimi, Anna Foglietta interpreta mia sorella e fa anche lei un’interpretazione molto lontana da quello che ha fatto fino ad oggi, però è anche un film che parla di lavoro di squadra e di un genio che si rende conto che, senza le persone normali che lo circondano, probabilmente, non avrebbe ottenuto i risultati avuti e forse avrebbe avuto una vita meno felice. Io credo che questo paese, in questo momento, sia il Paese ideale per raccontare una storia del genere, perché in Italia si è persa l’abitudine di fare il lavoro di squadra, siamo tutti i solisti, vogliamo primeggiare sugli altri e spesso a discapito degli altri, invece, credo che potremmo fare meglio lavorando insieme.»
C’è una scena del film in cui vi fermano alla dogana e trovano una valigetta piena di soldi, memore di una delle abitudini di tuo padre Vittorio di non viaggiare con le carte di credito che trovava volgari…
«Mio padre, infatti, non ha mai avuto carte di credito, come il personaggio interpretato da Gigi Proietti e viaggiava con grande quantità di denaro, soprattutto quando doveva fare viaggi lunghi e, quindi, abbiamo rischiato molto spesso di essere arrestati alle frontiere. E ciò che avviene in questo film, ed ho reso cinematografico alcuni dei traumi che ho subito da bambino. Una volta capitò, non soltanto viaggiava con i contanti, ma voleva tenere i documenti di tutti ed era molto distratto, si sbagliò, e, invece, di buttare i biglietti che non servivano più, buttò tutti i documenti in una pattumiera dell’aeroporto di Fiumicino. Ci rendemmo conto dell’accaduto e costrinse Emanuele Salce, il mio fratellastro, piccolo di statura, a essere introdotto dentro il cassone, mantenuto dai piedi da mio padre, con una lampadina per cercare di ritrovare i documenti. Mentre mio padre manteneva questo ragazzino per i piedi, passava la gente che lo riconosceva: “Gassman, posso avere un autografo?” E, chiaramente, mio padre non mollava e rispondeva: “Non mi rompere il c****, perché adesso sto facendo una cosa più importante!” Questa è stata la mia infanzia.»