Il cantautore e musicista Luca Gemma haa pubblicato di recente “La Felicità di Tutti”. Il nuovo album uscito in vinile e cd, distribuito nei negozi tradizionali è inoltre disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming. Gemma si contraddistingue per la sua capacita di spaziare tra generi diversi: canzone d’autore, folk, rock, soul e R&B.
«“La felicità di tutti” è un disco “old school”: molto ritmico, tutto suonato, con basso e batteria in evidenza, percussioni, trame di chitarre r&b e folk, fiati in sezione e sax solisti alla Maceo Parker, pianoforti elettrici e sintetizzatori vintage» racconta Luca Gemma.
Attraverso i suoi testi Gemma rivela quel desiderio quell’utopia di assistere al trionfo della pace nel mondo. L’artista canta il suo inno alla vita e invita alla solidarietà e alla fratellanza superando qualsiasi differenza di razza e di religione. La copertina dell’album, ispirata a “Exile on Main St.” dei Rolling Stones del 1972, rappresenta un collage di foto, un puzzle di tutti coloro che desiderano essere felici: fragole, fiori, cani, bambini, donne alate, illuminati, acrobati, signore di ogni età. Il disco contiene i seguenti brani: “La felicità di tutti”, “Un bacio in più”, “Cajuìna (esistere)”, “Always”, “Tra qualche miliardo di stagioni”, “Accade”, “Prima di parlare”, “Fragole e cielo”, “Finalmente nuoti”, “Futuro semplice”.
Nel nuovo album “La felicità di tutti” hai sentito l’esigenza di trasmettere un messaggio di speranza, un appello all’altruismo in un periodo in cui si susseguono discriminazioni razziali, violenze verso donne e bambini, maltrattamenti nei confronti di animali e crimini contro l’ambiente. Cosa si prova nel mettersi dalla parte dei più deboli?
«Io scrivo canzoni e cerco di vivere a modo mio e secondo i miei principi ma non sono Robin Hood, purtroppo. Non è nulla in confronto a chi spende per determinate cause il proprio tempo e magari la vita stessa. Però credo che riuscire a mettersi nei panni degli altri e considerare la felicità di tutti e non solo la propria, in un periodo in cui si naviga tra egoismo e opportunismo, sia ancora una buona idea».
L’album si distingue per le sue sonorità che spaziano tra i generi folk, rock, soul e R&B. Per un musicista quanto incide l’ispirazione per la composizione?
«Una scintilla ci vuole sempre e magari si accende dopo un’ora che stai cantando su un giro di accordi. Se quell’intuizione resiste al tempo, allora può diventare una canzone».
Il brano “Un bacio in più” celebra l’amore, unico rimedio per rinascere e lenire le ferite. In che momento l’hai composta?
«In un momento in cui ho pensato che non c’è tempo da sprecare».
Il disco contiene “Cajuina” il celebre brano di Caetano Veloso, rivisitata con un adattamento in italiano dal titolo “Esistere”. È una canzone sul valore dell’esistenza, in cui canti il bisogno di guardare al futuro con gli occhi di un bambino, senza farsi troppe domande. Ma l’uomo moderno comunica esattamente l’opposto…
«È che da adulti si tende a guardare il mondo solo con occhio cinico e razionale e si perde il senso dello stupore. Invece l’occhio bambino è quello di un esploratore che mantiene intatta la curiosità e lo sguardo aperto sul futuro».
Quanto hanno influenzato il tuo modo di fare musica le collaborazioni artistiche con i numerosi musicisti internazionali?
«Si impara sempre ascoltando, guardando, suonando e rubando. Dalla mia lunga collaborazione con Steve Piccolo, bassista e cantante newyorkese, fondatore dei Lounge Lizards, per esempio ho imparato il canto a due voci e un’attitudine più libera alla scrittura di canzoni».
Nel 1990 insieme a Pacifico fondi i Rossomaltese, che ricordo conservi di quegli anni?
«Una band è sempre il risultato di un’alchimia umana che porta allo sviluppo di un suono. Due cose fondamentali che caratterizzano e danno senso a un gruppo. Così è stato anche per i Rossomaltese e io ho imparato tantissimo in quei dieci anni da tutti i miei compagni di viaggio, tra creatività e disciplina».
In occasione della pubblicazione di “Blue Songs”, un album in inglese hai viaggiato tra Australia, Italia, Francia, Inghilterra e Lussemburgo. Cosa ti ha lasciato artisticamente il tour del 2015? Come sarà il prossimo tour?
«Suonare in Australia è stata certamente la novità più inaspettata e ha dato ancora più senso al disco in inglese e al desiderio di far sentire le mie canzoni fuori dall’Italia. Ho montato un piccolo film su quel tour del 2016, visibile su Youtube. Si chiama “15 Minutes in Australia”, a sottolineare per paradosso la sensazione fortissima di lontananza che ho provato arrivando “laggiù”. Oltre alle 22 ore di volo che danno il senso della distanza geografica, ti accorgi di essere in un luogo giovane, selvaggio, ingenuo e quindi molto affascinante. La Francia la frequento con una certa assiduità dal 2013 e il pubblico francese mi piace sempre molto perché ha una forte predisposizione all’ascolto e un orecchio raffinato, con una grande attenzione per le parole. È un pubblico ancora avvezzo ai silenzi e alle pause. Il live di questo nuovo disco è partito a ottobre proprio con due date in Francia. Suonano con me Roberto Romano, fiati e percussioni, Nik Taccori, batteria e Andrea Viti, basso e percussioni. È il live più bello che io abbia mai fatto».