Pianista e compositrice, Roberta Di Mario, classe 1972, si diplomata in pianoforte al Conservatorio di Parma con il massimo dei voti, ed inizia da giovanissima l’attività concertistica, vincendo concorsi nazionali ed internazionali. Sperimenta il suo amore per la musica tra i tasti bianchi e neri del pianoforte, il suo compagno di viaggio da quando aveva 5 anni. Lo scorso ottobre è uscito “Illegacy”, un disco composto da 10 songs. Un progetto raffinato, intimo e potente al tempo stesso, che rappresenta un ritorno alle origini, dopo i precedenti lavori discografici in cui abbiamo visto Roberta Di Maio anche in veste di cantautrice. Per l’occasione abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’artista.
Lo scorso 13 ottobre è uscito il nuovo album Illegacy, un lavoro che descrivi come il tuo ritorno a casa. Cosa rappresenta questo disco?
«È per l’appunto un viaggio di ritorno verso casa. Ho iniziato a suonare all’età di 5 anni, mi sono diplomata in pianoforte al Conservatorio di Parma per poi dedicarmi all’attività concertistica. Ad un certo punto della mia vita ho sentito il bisogno di associare alla musica anche le parole. Dopo qualche anno mi sono accorta che tutte le parole di cui avevo bisogno in realtà erano dentro la musica, ed ecco perché questo nuovo progetto discografico segna il mio ritorno alla musica strumentale, al pianoforte, da sempre il mio compagno di viaggio. Un proverbio arabo dice che “la felicità non è una destinazione da raggiungere, ma una meta a cui tornare”. Il senso di Illegacy è un po’ questo».
Come e quando nascono le songs del disco?
«Sono nate negli anni, perché è da diverso tempo che mi sto dedicando alla realizzazione di questo progetto discografico. Scrivere per me significa far fluire l’ispirazione, la creatività, la voglia di far uscire qualcosa. Ho composto un bel po’ di songs, ma alla fine ne abbiamo selezionato dieci, le più autentiche, quelle che in qualche modo potessero rispecchiare Roberta Di Maio in questo momento».
Quanto è importante per un artista realizzare un album?
«Credo che oggi, nonostante il periodo storico in cui viviamo, sia sempre importante che un artista pubblichi il proprio lavoro discografico, non con la finalità di venderlo, perché purtroppo i dischi non si vendono più, ma semplicemente perché è una prova della tua esistenza. Per un artista ogni album rappresenta un figlio, un biglietto da visita che sia in grado di descrivere chi sei».
Come nasce l’idea dei dieci brani accompagnati da altrettanti video?
«Il mio concetto di musica è supportato da un concetto visual di immagini. Innanzitutto perché amo tantissimo il settore cinematografico e credo che la mia musica abbia appunto nel suo Dna qualcosa che ha che fare con il cinema. Quindi abbiamo approfittato di questo mio talento, che senza sforzo in qualche modo emerge, per proiettare anche il pubblico in un mondo cinematografico, fatto di immagini in bianco e nero, riprendendo un po’ il cinema muto, quello francese, ma anche i colori di quello contemporaneo».
I tasti bianchi e neri per te hanno un significato molto profondo.
«Ho iniziato a suonare il pianoforte quando non andavo ancora a scuola. Ho imparato prima le note che le lettere dell’alfabeto e da quel momento è stato tutto un percorso molto naturale. Il pianoforte è sicuramente la mia salvezza, la mia ancora. Nei momenti in cui mi sento un po’ inquinata nei pensieri, nel corpo, la musica e il pianoforte mi purificano. Credo sia uno strumento straordinario. Mi sento una privilegiata ad aver intrapreso così presto questa strada di tasti bianchi e neri».
I tuoi prossimi progetti?
«Si sta riempiendo l’agenda con una serie di concerti che spero poi sfocino in un tour che non sia solo di store, ma di appuntamenti anche nei teatri. Iniziamo con l’Italia per poi spostarci in America. Tra gli altri progetti, ci sarà anche il cinema. Sono in programma una serie di collaborazioni con il settore cinematografico».