È uscito il 13 ottobre “Manifesto della chimica romantica”, l’album d’esordio dei Malmö, band campana composta da Daniele Ruotolo (voce – chitarra), Vincenzo De Lucia (pianoforte – chitarra), Marco Normando (basso – cori), Vincenzo Del Vecchio (batteria – glockenspiel).
Il nome della band deriva da un viaggio mai compiuto, da una meta mai raggiunta che è appunto la città di Malmö in Svezia, luogo che la band avrebbe dovuto visitare, ma che per una serie di vicissitudini, non è mai riuscita a raggiungere, restando una chimera, un sogno mai realizzato.
La band, nata nell’autunno del 2014, dopo la realizzazione “Palloni aerostatici” (un demo di 5 brani), seguito da una serie di concerti, con partecipazioni a diversi festival, collaborando con vari artisti – tra i quali Fast animals and slow kids e Lo stato sociale – lo scorso maggio firma con l’etichetta ManitaLab il primo contratto discografico per l’album di debutto “Manifesto della chimica romantica”.
Il disco è prodotto artisticamente da Massimo De Vita (Blindur), missato da Paolo Alberta (Negrita, Ligabue, Jovanotti, Roy Paci, Eugenio Finardi…) e masterizzato nel suo studio islandese da Birgir Jon Birgisson (Sigur Ros).
Dai testi emerge una forte componente materialista e scientifica della vita, accompagnata sempre da una visione romantica della stessa e, per quanto questo legame tra i vari elementi possa sembrare in antitesi, il romanticismo e la chimica sono per i Malmö degli opposti complementari.
Il disco risuona di influenze post-rock, con gli ambienti, i pianissimi e i fortissimi e le lunghe parti strumentali, tipiche del genere. La sfida è stata quella di dare più spazio alla voce, non più come strumento aggiunto nella tipica visione post-rock, ma come elemento focalizzante, come nella più classica tradizione della forma canzone, e con testi in italiano.
Il brano di apertura del disco è “L’alba di un giorno di festa”, il cui testo è un’esortazione a lasciarsi alle spalle tutto ciò che non serve, tutto ciò che impedisce di essere davvero felici e di perseguire solo gli obiettivi veramente importanti. Il secondo brano è “La deriva”, un testo intimo che parla di mancanza, di abbandono e di fede.
“Il principio di Archimede” è sicuramente uno dei pezzi più caratterizzanti per il sound del gruppo, con diversi cambi dinamici fino all’esplosione finale. Parla di amore e del fatto che non esistono teorie o metodi universali. Ogni storia ha un suo percorso che difficilmente si può spiegare a parole. “Polaroid” si potrebbe definire la ballata del disco, una canzone che parla di una storia d’amore incompiuta. Anche in “A chi è lontano”
si parla di abbandono e lontananza, sul dubbio che sia meglio non amare affatto o soffrire per l’abbandono. “Jules Verne”, tra i brani più sentiti dai Malmö, poiché troviamo gli elementi cardine del loro mondo, ovvero il viaggio, il mare, le sirene, i palloni aerostatici, il naufragio, il cielo, le stelle e la costante convinzione che il futuro riserva qualcosa di bello, il tutto contornato da un velo romantico. “Le regole della resa incondizionata” inizia con un intro molto intimo, quasi sussurrato, ed un finale davvero molto molto forte. «Il “carillon” – affermano i Malmö – dopo la prima strofa è una delle parti a cui siamo più affezionati. Il testo parla della lotta contro ciò che non si può cambiare e che ci fa vivere “solo a metà” con il ritorno della visione ottimistica del futuro nel vivere a pieno le gioie senza rimorsi per tutti gli errori commessi».
“Manifesto della chimica romantica” il brano che dà il titolo all’album è un pezzo strumentale. Tutta la prima parte è caratterizzata dagli intrecci di chitarra, piano e glockenspiel fino al finale che anche in questo caso tocca picchi dinamici molto alti. Alla numero nove troviamo “Senza macchie (L’alba di un giorno di festa parte II)”. «In realtà questo non è un vero e proprio brano – continua la band – ma in origine era semplicemente la coda de l’alba di un giorno di festa, ma per motivi di timing abbiamo deciso di dividerle, così da avere un singolo non troppo lungo. Dal vivo infatti le suoniamo ancora legate. Anche la scelta del titolo, che è un verso del l’alba 1, non è per niente casuale, ma serve a dare una sorta di continuità tra le due canzoni». “I treni e le scie” è il brano che chiude questo primo lavoro discografico della band campana. «Per quanto sia sembrato naturale chiudere il disco con questo brano, dal vivo invece è il primo della scaletta. Tutta la prima parte sembra sospesa in una sorta di nebbia con il riverbero shimmer della chitarra di Daniele che crea un suono quasi ipnotico. Il suono di questa chitarra in verità è presente in diversi brani del disco e insieme al glockenspiel è una delle caratteristiche che abbiamo cercato di tirare fuori. I colpi all’unisono della seconda strofa danno un primo accenno di risveglio, fino all’apertura del finale. Nel testo si parla di sogni adolescenziali, di promesse fatte davanti ai binari della stazione del paese che all’epoca sembrava la via di fuga di un posto che ci stava troppo stretto, ma che invece resta ancora il posto della vita vera, quella senza compromessi degli adulti».