Si chiama Reason (Ragione) ed è il nuovo album di Selah Sue, la cantautrice belga conosciuta per il successo della hit Raggamuffin (17 milioni di visualizzazioni su youtube che hanno trascinato il disco precedente a un milione di copie vendute).
Quest’anno Selah sforna 16 brani tra il funk, la house e il soul sempre contaminato da effetti electro. Merito del felice connubio con due produttori, il danese Robin Hannibal (Little Dragon, Kendrick Lamar) e lo svedese Ludwig Göransson, conosciuto per i suoi lavori con il trio pop HAIM e il rapper americano Childish Gambino.
Abbiamo incontrato Selah dopo l’esibizione che ha fatto a Rai Tre al programma di Fabio Fazio, prima dell’unica data al Tunnel Club di Milano, mercoledì 29 aprile, a tre anni di distanza dalla sua ultima apparizione nel nostro paese.
Che mood si respira nelle nuove canzoni?
«Il successo non ha guarito le mie ferite. Nulla è davvero cambiato. È un viaggio, una battaglia che durerà per tutta la mia vita, quella contro la depressione e la noia. Mi serve conoscere, viaggiare per ispirarmi. E ora che ho un compagno stabile con i figli, ho imparato a gioire della quotidianità.»
La tua vita si riflette nella tua arte?
«È un’equazione con molte variabili, un equilibrio perfetto che ha ricercato in numerosi studi di registrazione, soprattutto in Belgio, ma anche a Londra, in Giamaica e Los Angeles. Mi piace ricordare il pezzo che si chiama Together, scritto in poche ore a Los Angeles. È la mia prima canzone d’ amore, la melodia mi è proprio uscita dalla pancia. Childish Gambino ha portato i beats e il ritmo particolare del cantato.»
Che ruolo hanno avuto i produttori?
«Ho realizzato per la prima volta quanto un produttore può aiutarmi ad assemblare tutti i suoni che ho nella mia testa. Ludwig mi ha permesso di muovermi verso uno stile più sperimentale, elettronico, aggressivo e ballabile. Come in “Falling Out” con il suo drum&bass ritmico e l’atmosfera underground , è una delle mie preferite dell’album. Non volevo perdere l’immediatezza delle mie canzoni, ma volevo che fossero più elaborate, più eteree. Volevo che non ci fosse più solo la mia voce.»
È molto vario il calderone di stili da cui hai attinto questa volta, come mai?
«Ho parlato con la mia melanconia e le ho spiegato che non la stavo ignorando, ma che ho pensato che avevo anche voglia di ballare e che non ci trovo nulla di sbagliato. C’è anche un’ambivalenza che rende bene l’idea, con Alone che è dedicata a Whitney Houston, scritta la notte che è morta nel 2012. L’ho voluta mettere in versione acustica ma anche con un vestito electro molto anni 80, perché il testo può reggere anche un’ambientazione dance.»
E che ci dici del brano Sadness?
«È l’esperienza che mi porto dietro dalla Giamaica. Mi avevano sistemato in questo resort molto chic, mi sono sentita male a guardare la gente attorno che rovistava nell’immondizia. Il mondo fuori è un’altra cosa, e sei costretta a rivedere la tua zona di comfort in qualche modo. Me ne sono andata.»
Come nascono i tuoi pezzi, o almeno i temi che vuoi trattare?
«Se sei svogliato e depresso non riesci a scrivere. Rispetto al primo disco ho trovato l’amore e credo che questo interesse per l’altro si percepisca. La scrittura per me è anche un grande mezzo, quindi faccio la prima parte della composizione da sola, con la chitarra solitamente. Poi questa volta ho chiamato la mia band per una settimana intera per fare delle jam. E poi mi sono affidata ai produttori.»
Cosa ti piace della tua musica?
«Faccio tutto in maniera istintiva, non sono un’esperta musicale, ma posso ascoltare un brano una volta e ricantarlo con tutte le sue sfumature dopo vent’anni. Per me è anche una questione di evoluzione, volevo toccare l’elettronica e il jazz e non voglio nemmeno perdere l’interesse per la purezza della musica. Che è curiosità, ma anche mettersi in gioco e suonarla per strada, come faccio a volte io.»
Perché Reason?
«Perché non ci sono più ragioni per me per stare male, essere pigra e non usare la mia responsabilità. Non ho più tutto il tempo per me e la mia vita è cambiata.»