“Lo stupido che canta” è il disco d’esordio del giovane Roberto Deliperi, nome d’arte dEli. Il musicista polistrumentista piemontese, trasferitosi nel Regno Unito da circa dieci anni, nasce musicalmente nel 1992, da lì tante scritture musicate, esperienze e collaborazioni. Collabora al mixaggio e alle rifiniture dell’album “35 Gradi Nord”, un insieme di storie raccontate in prosa e canzoni, a cura di un tal Magnesia Beggar e della Satanic Friends House. È coautore dei brani presenti nel lavoro discografico “Le incredibili avventure dei Bro a mare”. Nel disco “Lo Stupido che canta”, l’artista mette a nudo la propria anima, in un lavoro che dal rock si sposta al reggae, fino al prog e alla musica classica. Undici tracce in cui riconosciamo una variegata contaminazione che dEli ha “partorito” insieme alla stretta coproduzione di Alberto Brigandì.
“Lo stupido che canta” è il titolo del tuo disco d’esordio, che dà l’idea di una lettura autobiografica, sull’onda chiaramente sarcastica.
«La scrittura di questo album è stata frutto di una necessità spontanea. Lavorando come musicista, mi sono trovato a mettermi sempre a disposizione delle band o degli artisti con cui lavoravo. A un certo punto ho toccato il punto di saturazione e ho preso la decisione di comporre un qualcosa solo per me. Ci ho messo dentro tutte le influenze che ho avuto fin da quando, da piccolo, ho iniziato ad apprezzare la musica».
Com’è cantare l’amore sulle note pop-rock?
«A me pare normale. Sai l’amore può essere inteso in mille modi differenti, di conseguenza, si può sposare con mille modi differenti di fare musica».
Sin da subito suona curioso il tuo nome dEli. Come nasce?
«È molto più semplice di così. Io mi chiamo Roberto Deliperi, alle elementari gli alunni venivano chiamati per cognome e di conseguenza noi ci conoscevamo per cognome prima ancora che per nome, ma il mio è lungo, quindi è sempre stato abbreviato in dEli appunto, poi la scelta della maiuscola sulla seconda lettera è un vezzo».
Nell’album c’è la canzone “Stefania” scritta per tua sorella. È per te quella con maggiore risonanza?
«Mia sorella è una delle persone con maggiore risonanza nella mia vita. No, non saprei, a me piacciono tutte. Stefania mi piace molto perché mi ricorda Penny Lane dei Beatles anche se, per un neofita, non c’azzecca nulla. Ma io ho i miei motivi».
Nel brano “Lo stupido che canta” porti con te un miscuglio di tradizioni musicali, tra quelle italiane e le altre del Regno Unito?
«Quasi esatto. Questa è la prima volta che mi viene posta la domanda in questi termini e mi piace. Di solito viene tirata in ballo la parola “genere” che a me personalmente non dice nulla. Dicevo quasi esatto, perchè c’è molto anche di americano. Ho voluto fare un disco senza pormi limiti e senza cercare di appartenere a un filone per forza. Le appartenenze mi sono sempre state strette. Semplicemente, ascoltando vagonate di musica (italiana, inglese, americana, vecchia e nuova) ci è finita (quasi) tutta dentro, ma filtrata da me».
Il disco nasce in seguito al trasferimento dal Piemonte al Regno Unito?
«Mi sono trasferito qua 10 anni fa e le lavorazioni sono iniziate 3 anni or sono, quindi dopo 7 passati in UK. Sicuramente se non mi fossi mai trasferito il disco sarebbe stato diverso, se mai ci fosse stato un disco. Il progetto nasce in seguito a esigenze personali: lavorando come musicista sono sempre stato al servizio dei brani che suonavo, aggiungendovi a volte un pizzico di creatività, ma cercando di mantenerli il più fedeli possibili. Ad un certo punto ho sentito la necessità di esprimermi liberamente e completamente, quasi di mettermi a nudo. E cosi è nata l’idea dell’album».