Straordinaria donna, sorprendente artista, Antonella Morea diventa Gabriella Ferri, nello spettacolo “Io la canto così!”, per la regia di Fabio Cocifoglia, accompagnata dai due musicisti, Franco Ponzo alla chitarra e Vittorio Cataldi alla fisarmonica e violino. Una bellissima operazione di riscoperta e ri-valorizzazione di un mito oramai dimenticato, quello di Gabriella Ferri, e che, finalmente, i giovani, e non solo, possono scoprire, conoscere, ricercare in mezzo ai troppi effimeri talenti di oggi. E anche per imparare le qualità di una grande artista partenopea come Antonella Morea, che vedremo prossimamente nei panni di Matilde Serao sul palco del teatro San Carlo di Napoli, nell’opera di Jommelli, “L’Isola Disabitata”, mentre a giugno, al Napoli Teatro Festival, nel ruolo di Peppina nello spettacolo di Fortunato Calvino “Rituccia”.
Quale desiderio l’ha spinta ad omaggiare Gabriella Ferri?
«Collaboro con il regista Fabio Cocifoglia da un po’ di tempo, abbiamo avuto un paio di esperienze teatrali insieme, un giorno, lui mi fa: sto pensando che mi piacerebbe fare con te uno spettacolo che parlasse della Ferri, perché mi sembra un’artista interessante, di cui non si parla proprio più. E io: “Fabio, tu lo sai che, quando ho cominciato a cantare, mi chiamavano la Gabriella Ferri napoletana?” Eh sì, perché non solo cantavo le canzoni folk con la mia chitarra, ma avevo copiato il suo look, capelli biondi, occhi bistrati di nero, fondotinta pallido e poco fard sulle guance. A quell’epoca, la Ferri era sempre in tv e io l’ammiravo tantissimo e tutto quel fondotinta chiaro sul mio viso, non solo mi dava tanta forza, ma nascondeva anche il mio rossore dovuto alla timidezza. Allora io non facevo ancora teatro e cantare era la mia vera passione e lo facevo per me stessa, non per mestiere (studiavo ancora), poi, quando ho conosciuto il maestro Roberto De Simone, il mio mascheramento è crollato di fronte alla sua richiesta di capire cosa vi fosse dietro tutto quel trucco.»
Su quali basi avete costruito lo spettacolo?
«Con Fabio ci siamo messi di buona lena a cercare testimonianze, scritti, canzoni, interviste, etc.
E abbiamo trovato un libro dove sono raccolti (su fogli di carta del pane perché era lì che Gabriella appuntava) pensieri, scritti, poesie, disegni, che ci hanno fatto scoprire un’artista ancor più straordinaria di quella che appariva in tv. Il titolo del libro è SEMPRE, e gli autori, quelli che hanno messo insieme il tutto, sono Pino Strabioli e, il figlio della Ferri, Seva Bozniac jr.
Quindi, partendo da due vite parallele: la sua e la mia e stando sempre un passo dietro lei, lo spettacolo viaggia sul numero due, numero sempre presente nella sua vita, due cadute, due genitori, due Romanine in duo, cioè lei e la De Santis, due matrimoni, due amori… e con due musicisti, un fisarmonicista e un chitarrista, posso percorrere la sua vita e, gli anni sessanta/settanta, con tutti i riferimenti dell’epoca, fino poi ad arrivare alla sua caduta, quando nel 2004 si lancia dal balcone.»
Una grandissima e meravigliosa artista scomparsa che, oggi, non viene ricordata né in tv né nelle radio, perché secondo lei?
«Io non so perché della Ferri non se ne parli più, soprattutto in tv e nelle radio. Purtroppo, si diventa giurassici , i giovani non ne sanno niente , e oggi la vera arte, sembrerebbe retorica, non esiste più. Questo lo dimostra il fatto che, in tutti i campi, dalla letteratura alla musica al teatro nascano talenti scadentissimi che, però, vengono osannati e spacciati come cultura. Paradossalmente avere successo oggi mi preoccuperebbe.»
Qual è il criterio usato nella scelta delle canzoni per questo spettacolo?
«Le canzoni che abbiamo scelto sono legate a ciò che si racconta, ad esempio, quando si parla di Sanremo, canto “Se tu ragazzo mio”, e, quando, invece, si parla della verginità canto “Er zelletta”, primo amore giovanile della Ferri che “co na spinta e co n’abbraccio tutto quanto le insegnò”, ma quando si parla di altra verginità, di quella artistica, canto “Il valzer della toppa”, sublime pezzo scritto da Pier Paolo Pasolini.»
C’è una canzone a cui lei è legata particolarmente?
Non c’è una canzone che io amo particolarmente, perché tutte mi emozionano. Forse, se proprio dovessi scegliere, prediligerei “Sempre”, mi ha sempre commosso.
Cosa accomuna Antonella a Gabriella?
«Avrei tanto voluto essere geniale come lei, stravolgere la metrica delle canzoni per restituire un’emozione particolare come faceva lei, ma sono più diligente, meno ribelle, ma forse, come lei, ho l’amore, la passione e la sincerità per tutto quello che faccio.»
Ha mai incontrato o visto uno spettacolo di Gabriella Ferri?
«Purtroppo, non ho mai visto la Ferri se non in televisione, mi sarebbe piaciuto tantissimo vederla dal vivo.»
Prima regia per lei per lo spettacolo teatrale “Mamma. Piccole tragedie minimali”, di Annibale Ruccello. Com’è stato cimentarsi in questa nuova avventura e com’è avvenuta la scelta di questo testo?
«Stavo provando al Bellini uno spettacolo con Nino D’Angelo, e, in una pausa, Rino di Martino mi viene a trovare e mi chiede: Secondo te, io che spettacolo di Ruccello potrei interpretare?. Non ho avuto alcun dubbio nel dirgli “Mamma”, anche se era scritto tutto al femminile. Rino va a casa, lo legge, torna e mi dice “ok fai tu la regia” . “No, Rino io non so se lo so fare. Non ci ho mai pensato…”. Quasi obbligata da lui, mi sono lasciata andare e quello che ho fatto è stato mettere insieme tradizione e contaminazione.»
…E come è stato trasposto, invece, da lei?
«Annibale, che io conoscevo, aveva frequentato De Simone e studiato antropologia, e, poiché, uno dei monologhi comprendeva le fiabe della tradizione campana, io non ho fatto altro che spezzettare quest’ultimo in tre momenti che vengono raccontati da un essere non identificabile con nulla, né con donne né con travestimenti, semplicemente un narratore che, dietro uno specchio barocco, conserva la preziosa tradizione, compiendo tutti i riti dell’acqua, a volte bendato come una Cassandra rivelatrice che si trasforma ogni volta che viene contaminata dalla perdita delle identità, e, qui vengono fuori Maria di Carmelo, la pazza che crede di essere la madonna; la madre Medea che spinge sua figlia Adrianina a buttarsi giù, e, la madre che, nella telefonata, fa sfoggio di tutta la sua conoscenza da rotocalco rosa. Le musiche le ho scelte alternando i canti dei contadini della tradizione campana a Orietta Berti, Albano e Romina a Kiss me Licia, e, il terremoto finale che è quello vero dell’Ottanta, l’ho interpretato come il nostro terremoto culturale, pieno zeppo di sacchetti di Monnezza (profetizzando tutto quello che poi veramente a Napoli è accaduto con gli scandali della Monnezza) condita da reality e seriali e talent show!»
Prossimi appuntamenti?
«Ho iniziato le prove al San Carlo dell’opera di Jommelli, L’Isola Disabitata, dove io non canterò, ma sarò Matilde Serao. Poi per il Napoli Teatro Festival interpreterò il ruolo di Peppina nello spettacolo di Fortunato Calvino RITUCCIA, che prende spunto dal personaggio creato da Eduardo in Napoli Milionaria, per rivederla ai giorni nostri in una realtà camorristica degradata.»
Vogliamo costruire una sua biografia su Wikipedia? O non ama celebrarsi?
«Non amo autocelebrazioni, ma Wikipedia non sa nulla di me, perché credo e non vorrei dire una sciocchezza , che non vi sia scritto nulla e, quando si va nel mio profilo, escono solo i film di Salemme che ho interpretato. Vuole fare lei un mio ritratto e lo manda a Wikipedia? Affare fatto!»